LENNY (la chitarra di Stevie Ray Vaughan)
Faceva caldo quel pomeriggio a Torino, via Nizza sembrava infinita, Ernesto aveva lasciato Guendalina almeno un paio di chilometri prima,
anzi, per meglio dire, Guendalina aveva lasciato lui, per sempre, salutandolo con un filo di fumo che, dalla mascherina, appena sopra il paraurti, saliva verso il cielo
“Le chiamo un carro attrezzi? Mio cugino fa quel mestiere li” aveva detto il barista, tanto premuroso quanto interessato
“No grazie, anche mio cognato fa quel mestiere li”
Falsità contro falsità, uno a uno… e palla al centro
In realtà la macchina l’aveva abbandonata perché, anche se fosse durata un paio d’ore in più, non avrebbe comunque avuto i soldi per far benzina
L’ultima moneta l’aveva usata per il ghiacciolo che gli si stava sciogliendo in mano, nonostante il suo accanimento nel divorarlo prima che ciò accadesse
Ecco adesso aveva la mano destra che sembrava carta moschicida, si appoggiò ad un semaforo e rimase appiccicato
Staccata la mano a fatica, continuò giù per via Nizza in direzione della stazione
Sarebbe arrivata tra meno di un’ora, e quello era il tempo che aveva per inventarsi qualcosa
Qualcosa che giustificasse che non aveva un lavoro, stava per essere sbattuto fuori di casa per morosità, non aveva più una macchina e… non aveva nessun tipo di regalo
Già perché era il compleanno di Margherita e stava arrivando a Torino proprio per festeggiarlo con lui
Si specchiò in una vetrina, aveva un aspetto orribile, la camicia era fuori dai pantaloni, evidentemente indossata da più giorni, come la barba, anche quella era li da qualche giorno, doveva darsi una sistemata
Fu allora che la vide: una chitarra elettrica, una “stratocaster” marrone e bianca, con una scritta, tre lettere in madreperla S.R.V
Rimase qualche minuto a fissarla con la mente vuota, la mano destra appiccicosa con il palmo verso l’alto e la bocca un po’ aperta per far entrare più aria per via del caldo soffocante
Una signora anziana mise una moneta nel palmo e gli sorrise
“Ma no signora… è per il ghiacciolo… non volevo…”.
“E si compri il ghiacciolo, quello che vuole!”
Ernesto ringraziò e decise di entrare nel negozio, fingere di interessarsi alla chitarra, chiedere del bagno e darsi una sistemata prima di incontrare Margherita, che si lo avrebbe ucciso, ma almeno avrebbe affrontato la fine con un aspetto dignitoso
“Buon giorno, la chitarra in vetrina è usata vero?
Dietro il bancone c’era una coppia di anziani, molto anziani, Ernesto pensò che, probabilmente, non erano i proprietari del negozio, ma stessero soltanto aspettando il rientro del titolare
“Si, l’ha portata mio nipote dall’America, il negozio è suo, solo che ci ha detto di tenere aperto fino a quando lui non tornava”
“ah… e tornerà tra molto?
“Non lo sappiamo…è via da mercoledi”
In realtà il nipote non sarebbe tornato mai più.
La chitarra l’aveva comprata per una cifra spropositata ed era in vetrina proprio perché era famosa.
Era “Lenny” la chitarra di Stevie Ray Vaughan , che le aveva dato quel nome perché cosi si chiamava sua moglie “Lenora” abbreviato in “Lenny”
Solo che il ragazzo non era solito frequentare bravissima gente e, per uno sgarbo a qualcuno, una notte trovò qualcun altro ad aspettarlo nel buio…che nel buio lo fece finire per sempre
“Potrei usare il bagno per favore? Poi vorrei provare la chitarra, mi interessa”.
“E' la porta a soffietto là in fondo, la luce è subito a destra” disse la signora spostandosi leggermente per far passare Ernesto
“Tu lo sai come funziona una chitarra elettrica?” disse la signora guardando il marito dal basso in alto mostrandosi poco fiduciosa
“Con l'elettricità... come vuoi che funzioni?” “Ma se non ha né filo elettrico né spina”
“Facciamo fare a lui, diciamo che abbiamo un lavoro da finire in fretta nel retro”
“Buona idea, strano che sia venuta a te”
“Lo strano è che sono quasi sessant’anni che ti sopporto”
“A chi lo dici”
Ernesto tornò un po' meno accaldato e stazzonato di come era entrato
“Bene, posso provarla?
“si accomodi, però dovrebbe far da solo perché dobbiamo finire una cosa urgente di là, le spiace?” “no, se mi dice solo dove attaccarmi...
“eh? Ma guardi nostro nipote suona sempre nell'angolo laggiù”
Ernesto vide in fondo al negozio un amplificatore e dei cavi appesi ad un gancio
“capito , grazie, ci penso io
Nel muoversi la signora rovesciò un vaso di fiori, l'acqua si rovesciò sul tappeto di stoffa rossa che copriva buona parte del negozio, di questo Ernesto non si accorse, impegnato com'era nell'accendere l'amplificatore e nel collegare il jack della chitarra
Il negozio era vecchio, come l'impianto elettrico, di certo non a norma come salvavita e “messa a terra
quando Ernesto, in mezzo al tappeto, chiuse il circuito, cominciò a sussultare con gli occhi sbarrati, fino a cadere a terra, la chitarra gli cadde dalle mani interrompendo finalmente il flusso di corrente attraverso il suo corpo
Non sentendo nessun suono provenire dal negozio gli anziani coniugi fecero capolino dal retro
“ma cosa fa? Si è sentito male? Vai a tirarlo su!” “Oddio non si muove più, secondo me è morto!”
“Se quando uno si muove poco è morto allora sei morto anche tu da un pezzo!”
“Smettila! Ha preso la corrente! Nel nostro negozio! Qui finiamo in galera!”
La signora portò le mani alla bocca “vai a chiudere prima che entri qualcuno!”
“cosa facciamo adesso?”
“aspettiamo quel deficiente di nostro nipote, intanto lo nascondiamo”
“e dove?”
“nel congelatore di là”
“e che ci fa un congelatore in un negozio di articoli musicali?
“e che ne so? Questa è una delle cose che chiederemo al deficiente!”
Il congelatore c'era ed era bello grande, dovettero estrarre moltissimi sacchetti tutti uguali pieni di una sostanza che sembrava talco, erano nascosti sotto uno strato di confezioni di gelato
Con enorme fatica trascinarono Ernesto nel retro e lo infilarono nel freezer
“ma sei sicuro che è morto?
“non lo vedi? Ha gli occhi sbarrati, e ti sembra che stia respirando?”
“Oddio, oddio guarda che ci doveva capitare alla nostra età”.
Intanto il tappeto si era asciugato.
Rimisero la chitarra in vetrina e andarono nel bar accanto per bere qualcosa di forte
Quando tornarono dopo una decina di minuti rimasero pietrificati sulla porta
Ernesto era in mezzo alla stanza con la chitarra in mano e li guardava
“Scusate è successa una cosa strana, devo aver avuto un incubo, un allucinazione, ero chiuso in una cassa e faceva un freddo tremendo poi mi sono trovato qui con la chitarra in mano...”
Colsero l'occasione dell'evidente stato confusionale di Ernesto e lo assecondarono
“Ma non so... l'abbiamo lasciata qui a provare la chitarra e siamo andai al bar..
le piace?” “Si, solo che, al momento, non ho soldi dietro, dovrei incontrare la mia ragazza tra poco, torno con lei”
“No! Guardi, le faccio lo scontrino, torni a portarmi i soldi quando vuole!”
La signora disse la frase quasi urlando, guardando fisso Ernesto e spazzandogli via la brina dalla camicia
“E quanto abbiamo detto?
“Cento...no novanta euro, se la porti pure via subito!” Ernesto mise lo scontrino in tasca e la chitarra in spalla, non ci poteva credere
“Ma!"
“Ti ho detto di non chiamarmi cosi... sembra che chiami tua madre”
“Ma ti pare che si possa credere...”
“Non mi interessa... non devi chiamarmi cosi e basta!
“Ma non è facile trovare un diminutivo a Margherita! È colpa mia se ti hanno chiamata come una pizza?”
“Non come una pizza imbecille! Come una regina!”
“Ok, comunque ciao eh? Neanche ci siamo salutati e già si litiga”
“Ciao... ti ho salutato, possiamo continuare a litigare, infatti sto per chiederti: hai trovato uno straccio di lavoro? Un posto decente dove abitare?”
“Non precisamente, ho comprato questa chitarra per un prezzo ridicolo e questa sera devo provare in un locale con un gruppo che cerca un chitarrista, quanto alla casa, un mio amico è andato a lavorare in America, posso restare nel suo appartamento finché non lo vende, e siccome ha incaricato me di farlo...” “Perfetto, non potevi che avere un amico cretino, comunque andiamo, devo farmi subito una doccia, io li odio i treni: puzzano”
“Ok andiamo, passiamo solo da casa a prendere della roba e andiamo nell’alloggio del mio amico”
“Ma se vai ad abitare nella casa del tuo amico, dei tuoi mobili, delle tue cose, cosa ne fai?”
“Mi sono organizzato, le passeranno a prendere e le porteranno… in un deposito”
“Ah un altro amico?”
“Si” disse Ernesto abbassando lo sguardo e pensando “un amico che di nome fa ufficiale e di cognome giudiziario”
“Scusa ma dove stiamo andando? Dov’è la macchina?”
“Eh la macchina è a fare il tagliando, prendiamo il tram”
“Tu sai perché stiamo insieme noi due?”
“Vabbè adesso ti rispondo ‘no’ e tu ‘neanche io’ l’hai già usata questa”
“no… io lo so eccome: stiamo insieme perché non ti ho ancora mandato a cagare, ma mi ci manca veramente poco”
La casa di Ernesto era un inno al caos ed arredata, per usare un eufemismo, con stile ‘minimalista’.
Il divano era composto da due materassi da una piazza posti a novanta gradi a formare seduta e schienale su una rete da una piazza cigolante, coperti da un lenzuolo a disegno cachemire, al posto dei lampadari c’erano solo lampadine a bulbo, non c’erano tende alle finestre, l’armadio era costituito da una struttura metallica a cui erano appese le grucce, come quelli che si trovano nei negozi, il letto era costituito da una struttura il legno, palesemente finto, che incorporava spalliera e comodini in un unico blocco, roba che negli anni settanta non avrebbe usato più nessuno; di fronte al letto uno scaffale metallico a cinque ripiani imbullonati in modo neanche tanto regolare
La cucina era in stile con il resto: un mobile/credenza di un rivoltante verde pisello, dipinto evidentemente a mano, da qualcuno che non sapeva proprio farlo, la cucina era una quattro fuochi di cui uno fuori uso ma questo si allineava con il numero dei pomelli che erano solo tre. Ma c’era lui, il santo patrono dei single: il microonde
L’unica zona in cui si intravvedeva una parvenza di organizzazione era il balcone della cucina, in cui le borse rigonfie di spazzatura in attesa di essere gettate via erano ordinatamente allineate contro la parete, per non prendere la pioggia
Entrando Ernesto vide l’ennesima borsa di spazzatura appesa alla maniglia della porta finestra del balcone, la prese con un balzo ed usci per… allinearla alle altre
“Scusi né” era la vicina di balcone, una signora sugli ottanta anni
“Dica signora Barbero
“Ma lei quando avrà riempito il balcone di spazzatura, cosa fa? Trasloca?” “Ha ragione, guardi la getto proprio adesso, per non farla vedere alla mia fidanzata che è appena arrivata”
“Ah! perché lei ha pure una fidanzata?? La vorrei proprio conoscere!”. Mentre Margherita entrava in bagno Ernesto, furtivamente, portò via le sei borse di spazzatura. Mentre rientrava in casa senti il telefono che vibrava in tasca, lo fece uscire giusto un paio di centimetri per vedere il display. “Chi ti chiama? L’ho sentito il cellulare che vibra cosa credi?”
Margherita stava uscendo dal bagno asciugandosi i capelli con il cappuccio dell’accappatoio
“E’ il mio amico, quello dell’alloggio”
“E perché non rispondi?”
“Adesso rispondo…”
“Ciao sono io! Hai fatto tutto? Le piante, la cantina, l’acqua”
“Si, annaffiato le piante, ho portato la roba che mi hai chiesto in cantina”
“E l’acqua l’hai chiusa dal rubinetto generale prima di uscire? Sto via un mese, non voglio trovare il quartiere allagato, è successo a tanta gente eh?”
“tranquillo, tutto fatto, casa tua è in buone mani” disse Ernesto guardando Margherita con un sorriso falso
“Fidati!” Ernesto allontanò il cellulare dalla bocca di Margherita tappando il microfono
“Chi era? Fidati di che cosa??”
“No, era una che passava…niente”
“Comunque, mi raccomando, e non portarmi nessuno in casa eh?”. “Tranquillo, entro, innaffio e chiudo”. Ernesto chiuse la chiamata senza salutare, cosa che non sfuggi a Margherita
“Innaffi? Cosa innaffi? Cosa vuol dire ‘era una che passava’?” “No, è un modo di dire, sai, quando usi qualcosa di nuovo… siccome vado a stare nell’appartamento, si insomma si beve qualcosa per festeggiare…e dici innaffiare… e di te non lo sa, gli ho detto che sono single, sai dato che mi dà la casa, non volevo che pensasse che ci mettessi su famiglia”
“Te lo ripeto, cosa vuol dire: ‘era una che passava’? Al tuo amico non gli hai detto che hai una ragazza? Siete proprio intimi eh?” “Te l’ho appena detto: non voglio che pensi che io voglia metter su famiglia nel suo appartamento invece che aiutarlo a venderlo”
“Sarà, comunque, quando andiamo in questo nuovo alloggio?”
“Adesso.. vestiti che andiamo”
Ernesto mise tutto quel che entrava in un grande trolley ed uno zaino, compresa una vecchia caffettiera da due tazze, che lo seguiva da sempre in tutte le sue disavventure, aveva cambiato la guarnizione di gomma una decina di volte ormai, non se ne sarebbe separato per nulla al mondo, come non si sarebbe separato mai dalla sua chitarra, ma aveva dovuto venderla pochi giorni prima
Il viaggio con i bagagli, naturalmente a piedi, durò quasi una mezzora, Margherita era paonazza, non si sa se per la camminata o per il nervoso
“Eccoci, siamo arrivati, non ci è voluto molto no?” “Nooo.. usano ancora l’euro qui? Camminiamo da giorni!”
“Esagerata, dai, entra”
Il palazzo era signorile, la portinaia salutò Ernesto con un cenno del capo ed usci dalla guardiola
“Scusi, ma quella la suona in casa?” Indicò Lenny che Ernesto aveva a tracolla
“No, assolutamente, in casa non ho neanche l’amplificatore, suono nei locali, non si preoccupi”
“Bene, perché qui la gente è molto sensibile a queste cose, ma come mai si porta dietro tutta questa roba?” “E’ del mio amico Sal, il signor Paccuglia, del decimo, sto andando da lui” “Ah, Paccuglia, buona giornata” la portinaia disse l’ultima frase con un sorriso ironico
“Il tuo amico si chiama Sal Paccuglia?” “Si, sarebbe Salvatore Paccuglia, è un.. artista”
“Ah si? E cosa fa? Suona?”. “Si, canta, suona.. balla, insomma è uno show-man, infatti adesso è in America per lavoro”
“E perché hai detto che la tua roba è sua?”
“Ma la cosiddetta età dei perché non era intorno ai 4 anni?”
Margherita tacque, ma non convinta
Il viaggio in ascensore durò almeno un minuto, durante il quale Margherita rimase con lo sguardo fisso sul volto di Ernesto che, volutamente, guardava il pavimento
“Eccoci, hai visto che bello?”
Dopo aver aperto le due serrature e disinnescato l’allarme Ernesto fece strada a Margherita nelle varie stanze dell’appartamento
“Beh, devo dire che è spettacolare, la vista specialmente, Superga da una parte e la mole dall’altra, veramente bello!” “Si, speriamo di restare il più possibile”
“E che problema c’è? Se devi pensarci tu a venderlo, basta che tu dica che non lo vuole nessuno e siamo a posto”
“Già, facile” disse Ernesto con un sorriso forzato
“Ah ma ha la ragazza il tuo amico!”. “No, non credo propr.. ma perché me lo chiedi? Dove sei?”
“Sono qui dentro, in fondo al corridoio, nel ripostiglio, è pieno di scarpe da donna, e che donna!”
“Non devi curiosare, dai, non solo che mi ospita dobbiamo anche ficcanasare nelle sue cose? E poi perché dici ‘e che donna’ ?”
“Perché deve essere una tipa altissima ed anche coraggiosa, a giudicare dal tipo di scarpe”
“Sal è alto, sarà alta anche la sua ragazza, ma io non ne so nulla, non ne abbiamo mai parlato”
“In realtà non mi interessa, questa casa è bellissima!” disse Margherita gettandogli le braccia al collo
Ernesto tirò un sospiro di sollievo, ma si chiese quanto avrebbe retto la commedia
Salvatore Paccuglia era un attore porno, era in America per una serie di spettacoli in locali Gay, le scarpe erano le sue, altro che fidanzata
Non è che fossero proprio amici, lo aveva difeso una sera da alcuni balordi omofobi, gli aveva parlato della sua situazione economica disastrosa , Sal gli aveva prestato una piccola somma. In cambio, doveva prendersi cura della casa in sua assenza, delle piante in particolare, a cui Sal teneva molto
Ma sarebbe tornato presto ed Ernesto sarebbe tornato in mezzo ad una strada e, quasi sicuramente, single
“Allora? La festeggiamo questa casa nuova? Dove mi porti a mangiare?” Ernesto pensò che alla moneta datagli dall’anziana caritatevole, era tutto quello che aveva
“Guarda, mangiare fuori mi ha un po’ stancato, è cosi monotono, e la gente che si fotografa le fettuccine, che fa i primi piani alla luganega, stiamo a casa, ti spiace?”
“Va bene! Cucini tu?
“Certo vai di la in sala, ti accendi la tivù e ti chiamo quando è in tavola”
“Grazie! Come una regina!
“certo la regina Margherita!”
Mentre Margherita si gettava platealmente sul divano di pelle fucsia Ernesto vide i pantaloni di pelle che uscivano da sotto la poltrona accanto, provò a spingerli con la punta del piede, ma Margherita lo vide
“Cosa sono? vestiti? Altra roba della fidanzata suppongo, sono curiosa”
“Sono dei.. pantaloni di pelle, li vado a mettere nell’armadio”
Ma margherita li aveva già in mano
“ma certo che sono strani eh? E la parte di dietro dov’è?” “Ma no dai! Non lo vedi che sono da cowboy? Saranno per un film, sai che è in America, li avrà dimenticati” “Si, si, mi sa che sono una coppia piccantina!” disse Margherita ridendo
Ernesto era esausto, andò in cucina a vedere cosa poteva inventarsi per la cena
A parte degli spaghetti e dell’olio di oliva non riusci a riconoscere nulla che somigliasse a del cibo
Per fortuna trovò anche uno spicchio d’aglio
“Aglio e olio?” disse Margherita sedendosi a tavola
“Si, nel frigo e negli scaffali della cucina ci son cose che hanno nomi da personaggi del signore degli anelli: tofu, seitan, miso, shoyu, kombu, nori, wakame”
“E’ strano il tuo amico”
“Tanto”
“Allora, dove mi porti questa sera?”. “Ti porto in una birreria, in realtà devo andarci a lavorare, o meglio a cercare di lavorarci, questa è la prima volta, se gli piacciamo il proprietario ci paga la serata e magari ci fa suonare altre volte, altrimenti, niente”
“Bel divertimento, cosi mi devo anche preoccupare che non ti tirino dietro le patatine fritte”
“Che c’entra quello era un locale malfamato, mi han detto che li le tiravano dietro a tutti, era proprio quella l’attrazione del locale”. Ernesto andò a farsi una doccia mentre Margherita si accese la TV
Il locale era molto grande, una sala di una quarantina di metri e , in fondo, dietro una vetrata, si potevano vedere il silos argentati per la birra ed i macchinari per produrla
A sinistra c’era una zona rialzata con una dozzina di tavoli, a destra c’era una pedana di una decina di metri quadri in cui era sistemati i musicisti
Quando entrarono uno di questi si fece incontro ad Ernesto con un’espressione contrita
“Senti Ernesto, non so come dirtelo ma questa sera non ci servi, abbiamo chiamato Pino”
“Ma come ! Perché? Dobbiamo ancora suonare qui”
“Appunto e vorremmo risuonarci, l’ultima volta ci hai fatto fare una figura di merda”
“Ma avevo trentotto di febbre! Non stavo neanche in piedi”
“Lasciamo perdere, so sappiamo tutti e due perché non stavi in piedi”
“Era la tachipirina! Ne avevo presa troppa” “Ah ecco perché gli alpini fan quei cori, si fanno di tachipirina, comunque Ernesto, non rendere la cosa più difficile, sei fuori e basta!”
“E come glielo dico alla mia ragazza? E qui!” ed indicò Margherita che stava prendendo posto in un tavolo nella zona rialzata proprio di fronte al piccolo palco dei musicisti
“Dille che tu sei sicuramente assunto ma questa sera dobbiamo provare un chitarrista nuovo e che tu, generosamente, sei disposto a farlo provare”
“E i soldi della serata?”. “Senti ciccio per i miracoli passa domani”
“Almeno dammi i soldi per pagare la birra questa sera, te li ridò presto, sto facendo un lavoro per un amico che è all’estero”
“Proprio per toglierti dalle balle..” Maurilio mise la mano in tasca con un gesto di stizza
Prese la banconota in modo da non farsi vedere da Margherita che gli stava gesticolando dal tavolo
Fece cenno di attendere a Margherita e andò verso la porta del bagno che era vicino all’entrata
“Ciao Ernesto” era Pino che stava entrando in quel momento
“Ciao” “Non te la prendere con me, devo lavorare anche io, e poi, dai eri ubriaco come una scimmia, ti sei seduto in braccio ad una signora anziana”
“Tranquillo, non è colpa tua, me lo sono meritato, e poi ad un certo punto bisogna arrendersi, suonare non è solo un mestiere, ci va pure del talento ed io non ce l’ho”
“Allora vado? Amici?”. “Amici” Ernesto tese la mano proprio mentre alle sue spalle stava arrivando un cameriere con un vassoio di una dozzina di bicchieri di birra
Muovendosi per tendere a sua volta la mano Pino non si avvide del cameriere
Uno tsunami di birra investi Pino e almeno tre persone sedute dietro di lui, una delle quali, una specie di armadio a quattro ante che lo afferrò per la mano destra e lo tolse di dosso alla ragazza su cui era caduto, tirandolo su come sacco di patate e gettandolo di lato
Pino si alzò tenendosi la mano dolorante
“Oddio, me l’ha rotta!
Gli altri musicisti si avvicinarono
“Ma allora sei bastardo! Lo hai fatto apposta!”
“Io? Ma se gli stavo dando la mano, è vero Pino?”
“Si è vero, mi ha detto che siamo comunque amici”
“Ma ce la fai a suonare?”
“Ma che suonare, portatemi all’ospedale, non la vedi la mano? E’ blu!” “Lo porto io all’ospedale” disse Ernesto
“Tu non vai da nessuna parte, vai a suonare, e vedi di non farci fare la fine del sorcio perché all’ospedale ti ci porto io”
Ernesto andò in bagno, mentre si stava sciacquando la faccia per svegliarsi un po’ gli sembrò di scorgere con la coda dell’occhio un uomo dietro di lui, a non più di mezzo metro, con un gilet di pelle su una camicia a fiori ed un cappello , nero, a tesa larga e con delle borchie d’argento
Si girò di scatto col cuore in gola, ma non c’era nessuno
Andò da Margherita che stava sorseggiando una birra bianca
“Ah eccoti, non arrivavi ed ho ordinato io, una Jervis in coppa, è buonissima, l’ho ordinata anche per te.” “Grazie, ne ho proprio bisogno”
Buttò giù metà della birra in un sorso e andò verso il gruppo
“Che chitarra è? non te l’ho mai vista” disse Orazio, il batterista
“L’ho comprata da poco”
“E l’hai presa già vecchia?”. “Si, ma suona bene”
“Speriamo” disse Orazio scambiandosi un’occhiata col Glauco, il bassista
Maurilio prese il microfono
“Buona sera, benvenuti all’ AUGUSTA TAURINORUM, faremo delle cover di artisti vari, spero che vi piacciano” Ernesto prese a sua volta il microfono: “Iniziamo con un pezzo di Stevie Ray Vaughan: Pride and Joy” Maurilio gli prese il gomito facendogli male, continuando però a sorridere forzatamente
“Ma sei scemo??” sibilò
“Non siamo mai riusciti a farlo una che è una volta, chi lo fa il solista? Tu?”
“Strano, mi sembra di averla suonata mille volte”
“Ma che birra è quella? E bianca di suo o hai aggiunto qualche polverina? Ormai dai, o la va o la spacca, tanto prima o poi dovevo ucciderti”
L’attacco di chitarra polarizzo via via l’attenzione del locale, personale compreso. Alla fine del pezzo, cantato e suonato da Ernesto, non parti nessun applauso, ma nessuno si mosse in un silenzio irreale per un locale affollato
Ernesto, a testa bassa, poggiò la chitarra e si diresse lentamente verso Margherita, passò accanto ad un anziano, il quale, appoggiandosi alla spalliera della sedia accanto , si alzò faticosamente in piedi e si lanciò in un applauso urlando bravo a squarciagola, lo seguirono tutti quanti in un’ovazione da stadio
Ernesto fece un salto, sorpreso e spaventato
Margherita aveva le lacrime agli occhi
“Io ti chiedo scusa, non ho mai notato che fossi cosi bravo”
“Veramente neanche io” disse Ernesto asciugandosi la fronte con un tovagliolo e finendo la birra tutto d’un fiato
Seguirono diversi pezzi, quasi tutti dal repertorio di Stevie Ray Vaughan, e tutti si conclusero col delirio del pubblico
Maurilio si avvicinò al tavolo mentre Ernesto addentava famelico un hamburger
“Senti, lo so, mi sono comportato un po’… come dire?”
“Stronzo, si dice stronzo” rispose Ernesto a bocca piena
“Si, è vero, ma tu lo sai che noi ci dobbiamo vivere di questo”. “Io invece spremo soldi dai platani”
“Insomma, dai, mettiamoci una pietra sopra, mi ha detto Carlo che qui nel suo locale possiamo venire anche tutte le sere, e mi ha fatto un’offerta di quelle…”
“Che non si possono rifiutare, certo, metà a me e il resto ve lo dividete voi tra stronzi”
“Ma se non sai nemmeno la cifra”
“La cifra non importa, quello che mi da soddisfazione sono le percentuali, visto come mi avete trattato, altrimenti aspettate che guarisca Pino”
Margherita lo guardava incredula, si aspettava che gli altri tre, che avevano raggiunto Maurilio al loro tavolo, aggredissero Ernesto a sediate
Invece Maurilio allungò la mano
“Andata”
Ernesto festeggiò talmente tanto che Margherita dovette portarlo a casa praticamente di peso
Lo trascinò faticosamente al letto e lo lasciò cadere, poi andò a farsi una doccia e tornò con indosso solo un asciugamano e neanche tanto grande
Fece capolino dalla porta per quella che doveva essere un’entrata ad effetto
Ernesto dormiva profondamente, abbracciato a Lenny con le braccia e con le gambe, in posizione fetale, aveva un sorriso beato stampato sul volto
Fu un periodo di successi, ma Margherita avvertiva una lontananza da Ernesto, come se fosse un estraneo.
Non sapendosi spiegare la cosa Margherita decise di parlarne prima con l’amica del cuore, che non trovò di meglio che liquidarla con “strano? È un uomo! Sarebbe strano se fosse normale!”, e poi con la madre, ma in questo caso la risposta fu un fiume di sospetti su Ernesto
“Ha un’altra! Quando un uomo cambia anche di pochissimo, c’è dietro un’altra donna, te lo dico io!”
“Mamma, nelle ultime due settimane siamo stati insieme giorno e notte, quando potrebbe avercela un'altra? Giusto quando va in bagno nei locali dove suona, che poi sono separati da quelli delle donne”
Un sorriso malizioso comparve sul viso di Giovanna
“Un altro ha! Non un’altra!”
“Mamma…”. “Si Margherita?”.
“Ma vai a cagare va”
Passò una settimana un cui mamma e figlia non si rivolsero la parola
Margherita non trovò nessun’altro con cui confidarsi cosi si risolse a richiamare sua madre
“Mamma…”. “Attenta a quello che dici sai!!”
“No, non riattaccare, ti ho telefonato per chiederti scusa e per dirti che, in realtà, la cosa che mi dà da pensare non è tanto la… freddezza di Ernesto, quanto il suo cambiamento come musicista”
“Musicista?? In che senso?”
“Ernesto lo conosco da dodici anni ormai, ha sempre suonato ma, non è mai stato granché, nemmeno i ragazzi del suo gruppo lo apprezzavano, ma il mese scorso…”
“Il mese scorso? Non tenermi sulle spine”
“E’ cambiato, è diventato un… mostro, bravissimo, una specie di miracolo”
“Ma non mi sembra una cosa brutta!”
“Si, certo, ma è che mi fa un po’ paura, come tutte le cose che non riesci a spiegarti, tipo, non so, i fantasmi per esempio”
“Ma senti, non farti troppe domande, se suona bene, che fastidio dà, povero ragazzo”
“Si è vero, anzi, sta guadagnando un sacco di soldi, se continua cosi l’anno prossimo ci potremmo anche sposare”
“E lo dici cosi? Te lo ha chiesto?”. “No, ancora no, te l’ho detto che è… freddino”
La telefonata rincuorò un poco Margherita, che decise di cucinare qualcosa per la sera, quindi usci per andare a fare un po’ di spesa
La portinaia era sulla soglia della guardiola, come se la stesse aspettando
“Buon giorno”
“Buon giorno, signora”
“Posso chiederle di dare questo pacco al signor Paccuglia?”
“Certo, sto andando a far la spesa, quando torno passo a ritirarlo”
“Io tra un’ora chiudo”
“Tornerò in tempo”
Non le piaceva, questo era evidente, ma la cosa non turbava Margherita più di tanto, aveva deciso di prendere le cose come venivano e di non darsi pena per delle inezie e quella senz’altro lo era
Ma la telefonata con la figlia non aveva lasciato Giovanna cosi indifferente come aveva ostentato, quindi aveva deciso anche lei parlarne con qualcuno che di miracoli se ne intendeva
“Don Silvano, posso parlarle di una cosa delicata?”
La chiesa di San Giulio non era certo gremita e quindi il parroco l’accolse in canonica con un sorriso
“Si tratta del fidanzato di mia figlia Margherita, se la ricorda?”
“Certo, anche se dal catechismo non l’ho più vista tanto spesso” “E’ andata a studiare a Milano, adesso si è laureata ma abita ancora li".
“E questo fidanzato? Lo conosco?”
“Non credo, è di Torino ma… sinceramente non so neanche dove abiti”
“Allora, che problema c’è ? dimmi”
“Don Silvano, lei crede nei miracoli?”
“Ma son domande da fare ad un parroco? Certo, perché me lo chiedi?”
“Se una persona, per tutta la vita è normale e improvvisamente diventa un fenomeno, bravissimo e pieno di talento, come me lo chiama?”
“Fortunato! Prima di parlare di miracoli bisogna riflettere molto bene”
Don Silvano non le diede soddisfazione e cosi Giovanna cambiò consulente
“Gina, ciao tutto bene?” “Giovanna, come stai? Questa settimana non ci siamo viste in chiesa”.
“Guarda sono stata proprio adesso da don Silvano, gli ho chiesto una cosa ma non mi ha presa sul serio, cosi ho pensato chiamare te, ti disturbo?”
“Ma che disturbo, dai spara!” Gina pregustava chissà quale segreto su qualcuno dei parrocchiani
“Mia figlia ha un fidanzato…”
“Oh che bella notizia!” in realtà Gina era delusa, nulla di appetitoso come pettegolezzo
“Fammi finire, Margherita ha questo fidanzato, Ernesto, che è un bravo ragazzo, ma…”
“Ah c’è un ma?”
“Gina, già per me è difficile, se mi interrompi pure vado da Marisa”
“No! Da Marisa no!”
Gina e Marisa erano “Ying e Yang” del pettegolezzo, nel senso che una cosa o ti arrivava da una o ti arrivava dall’altra e c’era una competizione parossistica per accaparrarsi le notizie per prima
“Allora questo ragazzo fino a un mesetto fa è stato normalissimo, un normalissimo disoccupato che per vivere suonava, senza grande successo, nei pochi locali che lo volevano; almeno è quello che mi racconta mia figlia, ma da un mese si è… trasformato: è diventato un bravissimo chitarrista, sempre a stare a quello che racconta Margherita”
“Ma scusa, mi stai dicendo delle cose belle! O sono io che non capisco o non vedo dove stia il problema” Gina si stava spazientendo
“E’ che è diventato proprio un altro! Margherita non lo riconosce più!”
“Ma tu, che idea ti sei fatta?”. “Io? Veramente non lo vedo da un pezzo e poi di musica non distinguo una chitarra da una gru”
“Sai che ti dice la tua Gina? Andiamo e tastiamo con mano”
“Non ho capito, cosa tastiamo?”
“Dove va a suonare? Andiamo anche noi e vediamo come ci sembra, se sta semplicemente facendo il matto per mollare Margherita, o chissà per cosa, due vecchie volpi come noi lo beccano senz’altro”
“Ho fatto bene a chiamarti Gina, ti faccio sapere
“Benissimo, a presto”
Gina si rivolse all’amica che per tutto il tempo le era stata accanto , con l’orecchio ad un centimetro del telefono per ascoltare di straforo il dialogo
“Io questa qui l’ho sempre trovata di un noioso! Che idea ti sei fatta tu?”
Ornella, amica e luogotenente di Gina nella guerra contro Marisa, alzò le spalle
“Mah, quando uno fa improvvisamente cose che non sapeva fare, per esempio parlare in lingue SCONOSSIUTE… è posseduto, ne parlavano giusto un paio di giorni fa in televisione”
“Nel senso di…”
“Si, voglio dire Indemoniato”
“Ornella, tu ne guardi troppa di televisione, e quella sbagliata per giunta”
“Tu mi hai chiesto un parere ed io te l’ho dato”
Passarono un paio di giorni, Giovanna, tacendo a Margherita delle sue manovre per indagare su Ernesto, si era fatta dare data ed ora della serata successiva
Si presentarono in quattro: Giovanna, Gina, Ornella e un uomo sulla settantina, vestito di scuro, con un’espressione seria, molto seria, quasi drammatica, da necroforo esistenzialista, tanto è vero che al suo passaggio, mentre entravano in una “Augusta Taurinorum” gremita, la gente faceva scongiuri di tutti i generi, anche i meno eleganti. Ernesto era col gruppo, intento a preparare gli strumenti, quando vide lo strano gruppetto si avvicinò a Margherita
“Guarda che sia venuta tua madre mi può anche far piacere, cosi vede che ogni tanto lavoro, ma gli altri da quale manicomio li ha recuperati?”
“Perché dici cosi? Adesso non hai rispetto per gli anziani?”
“Ma che anziani, quando sono entrati tua madre mi ha puntato contro un dito e, da quel momento, tutti e quattro mi fissano con gli occhi sbarrati, non sbattono nemmeno le palpebre, mi fanno impressione!”
Si avvicinò anche Carlo, proprietario del locale
“Ma quell’allegro gruppetto è con te?” “Mah, a giudicare da come mi guardano direi più.. contro di me”.
“Mi hanno ordinato tre vin brulè ed una camomilla, quando gli ho detto che non le avevo, anche perché questo è un birrificio, mi volevano fulminare”
“Porta pazienza, una dei quattro è la madre di Margherita” “Ah! futura suocera! Auguri eh? Ti vedo malissimo”
“A chi lo dici, io mi vedo… fuggire”
La serata prosegui regolarmente, Ernesto incantò tutti con i suoi assoli, come ormai era consueto
Giovanna si alzò, imitata dal resto del gruppetto
Camminarono in fila indiana tra i tavoli, fino ad arrivare al bancone dove Carlo stava asciugando dei bicchieri
“Scusi né?”
“ – ne- pensò Carlo, “erano anni che non lo sentivo più neanche a Torino il NE”
“Dica signora, se volete un tè caldo quello ce lo abbiamo”
“No, volevo, volevamo chiederle, Il chitarrista…”
“Ernesto! Signora lo so che lei è la mamma di Margherita e lui lo conosco benissimo, mi dica”
“Ecco, Ernesto, secondo lei… è bravo a suonare?”
Carlo si protese in avanti come a voler fare una confidenza
“Un vero demonio!”
I quattro si irrigidirono ritraendosi, Ornella aveva un’espressione di trionfo
“Grazie! E mi dica ancora una cosa: è sempre stato cosi da quando lo conosce?”
“Veramente fino al mese scorso non me n’ero accorto”
Altra reazione tra lo stupito ed intimorito dei quattro
“Allora grazie, buona sera”
“Di nulla signora, buonasera a voi”
Carlo fece un cenno col capo per attirare a sé Ernesto che si avvicinò appena finito il pezzo
“Che c’è?”
“Le tre arpie ed il tristo individuo sono venuti da me per chiedere di te, secondo me stanno tramando qualcosa”
“Ah si? E che cosa secondo te?”
“E che ne so io, sembrano usciti da un fumetto, sono strani forte!”
“Effettivamente, specialmente il becchino, fa un po’ paura e cosa ti hanno chiesto?”
“Se sei bravo a suonare la chitarra e da quando me ne sono accorto”
“Ma pensa, e che glie ne frega? mah… dammi la mia solita birra va!”
“Janis in coppa! Pronta per il Jimi Hendrix con la bagnacauda nelle vene”
“Esagerato, comunque io i 27 li ho superati da un pezzo e nelle vene, ad essere sincero, non so cos’ho”
“Nel senso?”.
“Nel senso che non so esattamente da dove vengo”
“Non ce li hai una mamma ed un papà?”
“Si ce li ho, anzi, lo ho avuti, ma è successo che, qualche anno fa, facendo i preparativi per sposarmi…”
“Ah perché tu ti stavi sposando?” “Non con Margherita, un’altra, ma ti interessa o no?”
“Scusa, vai, mi stai incuriosendo”
“Insomma, avevo bisogno del certificato di battesimo ed io mi ricordavo che mia madre aveva detto che ero stato battezzato nella cappella dell’ospedale Sant’Anna”
“Va avanti, sembra una storia alla de Amicis”
“Allora, sono andato li ed a mio nome non c’era nessun certificato in tutto il mese della mia nascita”
“E che vuol dire questo? Al limite i tuoi non ti hanno battezzato, o si son persi il certificato”
“Si, poteva essere, solo che io ho voluto indagare e sono andato alla curia”
“Ma c’è la curia? E dove?” “In centro dalle parti di via Giolitti, ma non mi interrompere, insomma te la faccio breve:
L’unico Ernesto battezzato in quell’anno intero aveva un altro cognome e proprio nel giorno di nascita mio”
“Allora era un altro!”
“Non credo, anche l’ora di nascita coincideva con quella che avevo sentito dire a mia madre, quel bambino ero io”
“E cosa hai fatto?” “Sono tornato alla cappella del sant’Anna, sono andato dal prete che era miope come una talpa, ho cercato con l’altro cognome e, non trovando nulla, mi sono scritto il certificato da solo, ho detto al parroco che l’avevo trovato, ma, siccome era molto sbiadito… insomma mi sono fatto mettere timbro e firma”
“Diabolico!” disse Carlo ad alta voce battendo un pugno sul bancone e la parola non sfuggi certo a Giovanna, Ornella, Gina e…tristo figuro
“Ma quindi hai dubbi che i tuoi genitori fossero proprio i tuoi?”
“No di mia madre son sicuro, è mio padre che potrebbe essere un altro”
Il mattino dopo, di buon’ora, le tre ed il tristo erano intorno al tavolino del salotto buono di Giovanna, con in mano una tazza fumante di te e lo sguardo assorto
Il tristo ruppe il silenzio: “Dobbiamo verificare se stiamo parlando davvero della necessità di procedere con un esorcismo o ci troviamo davanti solo a delle coincidenze”
“Facciamolo entrare in una chiesa!” Ornella trasudava entusiasmo
“E poi ?” chiese Giovanna
“E poi le acquasantiere si mettono a bollire!...se lui è…insomma… indemoniato”
“Cosa dice don…”
“Cannero, Carlo Cannero, ma mi chiamano Don Carlin, dico che non penso si siano mai viste le acquasantiere bollire, almeno fuori da un film”
“Ecco, mi sembrava una sciocchezza…” disse Giovanna guardando Ornella con un’espressione di rimprovero
“E’ anche vero” prosegui Don Carlin “che entrando in una chiesa, un minimo di disagio, nel caso fosse il soggetto che temete, dovrebbe averlo”
Giovanna diventò seria
“Scusi Don Carlin, ma lei è qui di passaggio a Torino, ma so che viene da fuori, avrà delle spese, come possiamo sdebitarci di questo tempo che ci sta dedicando?”
“Potreste semplicemente fare una offerta alla mia parrocchia, non intendo certo porre dei limiti alla divina provvidenza”
“Bene e qual è?” “Parrocchia di San Pancrazio”
“E dove si trova?”
“Località Valle del Morto, Montà, provincia di Cuneo”.
Il tristo pronunciò la frase con tono grave e decisamente lugubre
“E mi dica, Don Carlin, ce l’ha l’IBAN ?”.
Carlin si irrigidi
“Ma che iban e iban, non lo sapete che siamo tutti controllati? Soldi contanti! Quelli si devono usare!”
“Certo, va bene, ma non è il caso di arrabbiarsi sa?”
“Giammai, arrabbiarsi è un peccato!”
“Ecco, appunto, allora… torno subito”
Le tre si riunirono in drappello spontaneo in un angolo della sala
“Quanti soldi gli diamo?” chiese Ornella
“Non lo so, io per far dire una messa metto 20 euro, di solito”
Mentre lo diceva Giovanna metteva mano alla borsetta
“Ma qui non si tratta di dire una messa, trattasi di ESORCISMO!”
Gina parlò scandendo bene le parole
“E quanto costerà un esorcismo?” disse Ornella portando la mano al mento
“Guardiamo in internet! Lo faccio cercare a mia nipote Pia che è brava” disse Gina
“Tua nipote è PIA o si chiama Pia?” chiese Giovanna
“E’ PIA di nome e di fatto” rispose Gina in modo austero “adesso la chiamo”
Gina portò il cellulare all’orecchio e le altre due si accostarono
“Per favore, devo parlare con mia nipote, un po’ di privazi “ “Si dice PRAIVASSI” sentenziò Ornella
“Comunque, toglietevi di dosso”
Pia era una bella ragazza di circa 30 anni, fuori corso da tempo alla facoltà di ingegneria, era una persona solare, impegnata nel sociale, combatteva un po’ per tutti, i poveri, gli immigrati, chi aveva perso la casa, certo in questa situazione aveva sempre avuto il sostegno dei genitori ma quando si sarebbe laureata ed avrebbe trovato un lavoro li avrebbe ripagati di tutto, almeno queste erano le sue intenzioni
Pia aveva lunghi capelli neri, come neri erano i suoi occhi, molto grandi, mentre il naso era piccolo, un po’ all’insù, la bocca, piccola anch’essa aveva labbra carnose che formavano , agli angoli, due fossette, insomma decisamente una bella ragazza
In quel momento si trovava in prima linea a reggere uno striscione contro una serie di sfratti nel quartiere di Vanchiglia, a Torino
Senti il cellulare intorno al decimo squillo, vide che era una chiamata della zia e decise di rispondere nonostante il frastuono che la circondava
“Zia! Ciao, in questo momento sono un po’ impegnata, ci sono problemi?”
“Pia, scusa, volevo solo che mi cercassi una cosa in internet, ma quando sei comoda, non c’è fretta”
“Va bene, riguarda la pensione? O hai problemi di salute?”
“No, dovresti solo cercarmi quanto costa un esorcismo”
“Ehh??”
“Un E S O R C I S M O!” Gina alzò di molto il tono di voce facendo trasalire Don Carlin, Ornella e Giovanna
“Ma perché, li vendono in internet??”
“No, magari poi ti spiego”
“Ecco brava, poi ci sentiamo con calma, le stai prendendo le pastiglie che ti ha scritto il dottor. Rossi, quelle per rilassarti vero?”. “Si, certo”
“Perfetto, non smettere mai, ci sentiamo, ciao zia”
Giovanna ed Ornella si avvicinarono con aria interrogativa
“Allora? Cosa ti ha detto Pia?”. “Di prendermi le pastiglie”.
“Che pastiglie?”.
“Lascia perdere, insomma… dobbiamo fare una cifra ad occhio e darla al…Carlin”
Si riunirono in conciliabolo, di tanto in quanto una delle tre alzava il capo e guardava don Carlin
Quando le vide rizzarsi simultaneamente e voltarsi verso di lui, Carlin capi che si era giunti al dunque
Giovanna si allontanò e tornò dopo un paio di minuti con una busta gialla in mano
“Ecco, Don Carlin, questo è l’obolo per la parrocchia”
Erano i cinquecento euro che Giovanna si era preparata per andare qualche giorno a Loano, una delle destinazioni Liguri più gettonate dai Torinesi, specialmente di una certa età
Don Carlin la prese con due dita, come se scottasse e la infilò distrattamente nella tasca interna della giacca dicendo “il Signore ve ne renda merito”
La corriera si fermò come al solito nella piazzetta di Montà, proprio di fronte al dehors del bar
Usci un signore con un’andatura dondolante forse dovuta alle dimensioni ragguardevoli della sua pancia
“Mi raccomando, cerca sempre di buttarmi giù la pergola!” disse, con le mani ai fianchi, rivolto all’autista
“Ma in tanti anni te l’ho mai toccata?”
“Ancora no, ma siccome diventi sempre più vecchio e rincoglionito e solo questione di tempo!”
I passeggeri scesero dall’autobus con calma, anche perché l’età media era intorno agli ottanta
Quando fu la volta di Don Carlin ci fu un ulteriore rallentamento, infatti si fermò sul primo gradino a guardare intorno prima di intraprendere la discesa degli altri due
“Ah! Carlin! Sei stato in viaggio? I soldi per andare in giro ce li hai! Per me invece non hai mai un centesimo! Ti ricordo che mi devi 700 euro!”
Carlin non si era accorto della presenza di Angelo Dalmasso, il padrone del bar, altrimenti sarebbe sceso dalla porta posteriore
“E invece sono andato a farmi prestare dei soldi da mio nipote, a Torino, guarda, non ti posso certo restituire tutto ma cento euro comincio a darteli, toh”
E allungò due banconote da cinquanta euro che erano, arrotolate, nel taschino della giacca
Antonio lo guardò con sospetto, riducendo gli occhi a due fessure sottili
“Ma allora dobbiamo festeggiare, entra che ti offro un bianchino, va bene una “favorita”?”
“Fermo”. “Fermo e ghiacciato come vuole il signore e magari due acciughe al verde…”
“Grazie Gino”
Gino era come chiamavano Angelo in paese
“Di niente, era un anno che non tiravi fuori un centesimo, ma, piuttosto, ti devo dire una cosa…”
“Cosa?”
“Il parroco, quello vero, ha detto che passando in bicicletta vicino a quella che diciamo la TUA chiesa, ha visto del fumo uscire dal camino…”
“E che faceva freddo e l’ho acceso anche di giorno”
“Fai quello che vuoi ma se quello chiama i carabinieri cinque minuti e sei fuori”
“Starò attento”
Dopo la solita camminata di una ventina di minuti sulla provinciale, con le auto che sfrecciavano cosi vicine da fargli sventolare i lembi della giacca, Carlin arrivò alla chiesetta di San Pancrazio
Girò intorno alla chiesa trascinando il trolley di tessuto scozzese scolorito dal sole, nel retro un cumulo di terra, da lui faticosamente accumulata in settimane di fatica, portava dal livello del terreno fino al davanzale dell’unica finestrella della parete
Carlin arrancò fino in cima, apri le spesse persiane di legno marrone, e, dopo aver spinto dentro il trolley, lo segui con cautela calandosi dentro
All’interno una scala costituita dalle panche della chiesa, sistemate alla bisogna, lo condusse finalmente al livello del pavimento
Questa operazione, lunga, faticosa e, vista la sua età, pure un po’ pericolosa era necessaria perché le chiavi del portone principale erano andate smarrite alcuni anni prima che lui arrivare in paese
Questa era croce e delizia, perché, se da un lato entrare era un’impresa non da poco, di contro a nessuno in quegli anni era mai venuto in mente di entrare in quella che, ormai, era la sua casa
La prima cosa che estrasse dal trolley fu una bottiglia di barbera
Segui un grosso salame ed una pagnotta
Dispose tutto sull’altare e , dopo essersi lavato accuratamente le mani nel bagno che, per fortuna, ancora funzionava, si servi la cena
Non mangiò molto salame, e neanche della pagnotta, ma il barbera non ebbe scampo
Andò a letto, o meglio a quello che ne faceva funzione: Due panche sistemate una di fronte all’altra fecero si che gli inginocchiatoi , ancora intatti, in finta pelle imbottita, facessero da materasso
Un po’ stretto a dire il vero, ma Carlin tanto largo non era e ci si sdraiò comodamente, con una mano sotto il capo e l’altra appoggiata sui soldi avuti per l’esorcismo di Ernesto
Un raggio di sole entrava dalla finestra della cucina, attraversava la sala, passava dall’ingresso e, dopo essere entrato dall’unico varco, largo non più di un centimetro, lasciato dalla porta della camera da letto, colpiva con precisione chirurgica l’occhio sinistro di Ernesto
L’occhio, inevitabilmente e dolorosamente, si apri
“MA!”.
“Non chiamarmi cosi!!”.
“Senti… ti chiamo Rita, va bene?”
“Meglio di MA sicuramente, ti sei svegliato? Alla buon’ora! Sai che ore sono?”
“No, e neanche che giorno è, mi ricordo chi sei perché abbiamo la foto sul comodino”
“Ho capito, hai bisogno che qualcuno ti mandi a cagare per assicurarti di essere vivo, ti servo subito.. vai a...”
“No grazie” disse Ernesto sorridendo “invece ti porto fuori a.. pranzo o cena?”
“Pranzo imbecille, è l’una”
Il telefono di Margherita squillò
“Si? Ciao mamma, dimmi”
“come DIMMI! Una mamma non può chiamare solo per un saluto? Per sapere come stai?”
“certo, certo.. ma io parlavo di te, allora DIMMI!”
“volevo semplicemente invitare te ed il tuo fidanzato a cena”
Margherita tappò il telefono con una mano e bisbigliò ad Ernesto :
“E’ impazzita! da quanti anni ti conosce? Ti ha mai invitato a cena?”
“No, me ne ricorderei”
“Mamma, Ernesto dice grazie mille, quando?”
“Questa sera.. vi dà fastidio se ci sono un paio di mie amiche?” “Certo che no! E’ casa tua!”
“allora ci vediamo questa sera alle sei e mezza”
“Alle sei e mezza? Ma è una cena o una merenda sinoira?”
“Cosi chiacchieriamo qualche minuto, dai!”
“Va bene”
Nel sala da pranzo vecchio stile, con le sedie scomodissime nonostante la seduta imbottita, il tavolo grande, di forma particolare, tanto da fare delle anse per cui alcuni si trovavano più vicini al centro ed altri più lontani, la credenza affollata con gli oggetti più inutili, che in Piemonte chiamano ironicamente “acchiappa polvere”, c’erano due sedie discoste dalle altre, verso il centro della stanza, rivolte verso il tavolo si, ma ad un paio di metri
In sostanza sembrava l’aula di un tribunale
Le due sedie, come tutte le altre, avevano ancora la seduta avvolta nella plastica protettiva
Ernesto entrò in sala e si guardò intorno con una certa apprensione
“Scommetto che noi due ci dobbiamo sedere li” disse indicando le due sedie in disparte
“Certo accomodatevi” disse Giovanna con un sorriso agghiacciante che ad Ernesto ricordò la signora delle punture, cioè l’infermiera che, quando era piccolo, arrivava a fargli l’iniezione di antibiotico
Aveva lo stesso sorriso mentre diceva “tranquillo non senti niente”
E lui pensava “la prima volta potevi dirmelo vecchia strega! Adesso lo so che fa male!” Margherita era visibilmente sospettosa anche lei
“Allora” ruppe il ghiaccio Giovanna
“Mi ha detto Margherita che ultimamente sembra che tu vada meglio come lavoro, siamo molto contenti, che economicamente sei più tranquillo”
“ahh, vogliono solo dirmi di sposarla!” pensò Ernesto che rispose un semplice “si”
“Noi” continuò Giovanna “siamo credenti, e quindi, appunto, crediamo che tutto venga dal nostro Signore e quindi volevamo chiedervi di unirvi a noi alla messa di questa sera alle 6 a San Giulio, per rendere grazie”
“Caspita, direttamente in chiesa, non vanno certo per il sottile” Ernesto era quasi divertito
Margherita, invece, cominciava ad essere particolarmente sospettosa, dato che sua madre, e il drappello che la spalleggiava, avevano un obiettivo primario per andare in chiesa: scambiarsi pettegolezzi, l’unico che non coinvolgevano era il Signore, ma perché non avevano informazioni fresche, e poi che ci faceva il tipo strano?”
“Scusa mamma, non ci hai presentati al signor…” disse Margherita
“ah certo scusatemi, lui è Don Carlo, di Montà d’Alba, conosciuto in ambiente ecclesiastico” “piacere” dissero in coro Ernesto e Margherita pensando: “e cosa vuole questo qui da noi?”
Ornella non riusci più a trattenersi e prese la parola, per perorare, evidentemente, la sua tesi della possessione demoniaca di Ernesto
“Dobbiamo rendere grazie più che altro, della sua improvvisa, caro Ernesto, evoluzione tecnica nel canto e nel modo di suonare la chitarra, che, mi dicono, io non me ne intendo, fa gridare al miracolo! Dico bene?”
“Effettivamente” rispose Ernesto
“E come se lo spiega?” insistette Ornella
“Non me lo spiego, ma visto che poche settimane fa avevo solo debiti , nessun contratto e neanche una casa dove stare non mi faccio troppe domande e… vengo volentieri a rendere grazie con voi questa sera”
Ornella si irrigidi, stava sicuramente bluffando! all’ultimo si sarebbe tirato indietro prima di entrare in chiesa, ne era sicura
La Basilica del Corpus Domini nell’omonima piazzetta di Torino fu scelta come “campo di battaglia col maligno”
“Bella!” Ernesto era sincero, le chiese gli erano sempre piaciute, fin da bambino
Quando era piccolo abitavano a Canale D’alba, un paese in provincia di cuneo, dove i bambini, specialmente quelli, come lui, che abitavano nelle strade più esterne, potevano giocare direttamente nelle campagne, per non dire nei boschi
A canale c’era anche una bella chiesa nel cui sagrato si ergeva una enorme statua di Gesù
Una volta, siccome non voleva andare all’asilo dalle suore (che comunque avrebbero detto a sua mamma di “ritirarlo perché ingestibile” di li a poco) ,Ernesto fuggi da casa, scomparve dall’alba ben oltre il tramonto, mentre un buon terzo della gente del paese lo cercava.
Nessuno pensò di andarlo a cercare in chiesa, e lui era stato sempre a giocare a scalare e ridiscendere dalla statua, da allora le chiese per lui erano diventate un porto sicuro
“Partiamo bene” bisbigliò Giovanna “ha detto BELLA ed è entrato per primo, mi sa che tanto indemoniato non è”
“Non farti ingannare dal maligno.. continuiamo ad osservarlo”
Ornella non sembrava facile da convincere
La messa iniziò, prosegui, terminò e.. nulla videro gli occhi di Margherita,Gina e Ornella, sbarrati e puntati su di lui, tutta la messa su di lui
Margherita era seduta tra le sante inquisitrici ed Ernesto, ma i loro sguardi la ignoravano , anche mentre lei per lungo tempo fissò loro
Neanche al parroco sfuggi la strana situazione, tanto che alla fine volle chiedere sommessamente ad Ornella
“Scusate, accade spesso che i fedeli non siano rapiti dalla mia omelia, ma vedere tre donne, perdonatemi non giovanissime, che fissano accanitamente un uomo per tutta la funzione non mi era mai successo! siamo nella casa del Signore!”
Ornella, assidua frequentatrice della casa del signore, accusò il colpo, specialmente perchè in un colpo solo era stata accusata di scarso interesse per la messa ed osceno interesse per un uomo
“No, guardi che si sbaglia, noi stavamo sorvegliando il giovanotto per cogliere ogni piccolo segnale”
“Segnale di che?”
“Le spiego, il giovanotto..”.
Gina le impedi di continuare trascinandola via per un braccio, lasciando il presbitero ancora più perplesso
Margherita non sapeva più cosa pensare tanto che disse ad Ernesto: “Se quando invecchio divento cosi sopprimimi per favore
“Certo Margie lo avrei fatto spontaneamente, non era necessario che tu me lo chiedessi”
“E questa è la storia don Carlo, nessun segnale di sofferenza nel trovarsi in chiesa”
Gina concluse cosi il riassunto dell’esperienza
Pierin era seriamente preoccupato, si capiva chiaramente guardandolo
Solo che le tre inquisitrici pensavano che stesse intravvedendo un esorcismo particolarmente ostico e lui invece pensava che sarebbe stato costretto a restituire i soldi, che, tra l’altro, non aveva quasi più
Si terse il sudore con un grande fazzoletto grigio che, in gioventù, doveva essere stato bianco
Stava preparando una frase adatta a spiegare che i soldi non li aveva più quando la stridula voce di Ornella lo tirò fuori dal baratro
“Don Carlo, ci rendiamo conto che le stiamo chiedendo una cosa eccezionale, se ha bisogno di qualcosa lo dica, la cifra che le abbiamo dato era solo una stima iniziale!”
La cosa non piacque esageratamente al gruppo ma annuirono comunque
Carlin colse la palla al balzo
“Avete capito al volo, stavo cercando di trovare le parole giuste, infatti la cosa è grossa!
avrò bisogno di una consulenza in.. Austria”
“Austria??” il coro spontaneo lo fece trasalire
“Si devo chiedere l’aiuto di un sacerdote di Vienna, è un uomo generoso, la la sua parrocchia, proprio per questo, versa sempre in condizioni economiche non perfette e quindi sarebbe opportuno fare una piccola donazione”
“Qualsiasi cifra!” disse Ornella con entusiasmo, ma questa volta le amiche non annuirono affatto
“Calma Ornella, siamo delle pensionate, non abbiamo tutta questa disponibilità”
“Don Carlo, mille euro, pensa che potrebbero bastare?” disse Margherita che si rivolse anche alle amiche: “ma questa volta tocca a me, in fondo la figlia è mia”
“Non se ne parla, insieme siamo partite ed insieme arriviamo!” disse Ornella con tono serioso. “Oh eccoci a casa, finalmente, io di giornate strane no ho avute ma tua mamma è una donna dalle mille sorprese”
Margherita entrò, gettò le scarpe in fondo al corridoio e se stessa sul divano di velluto blu
“E questa è casa nostra, non mi sentivo a mio agio a casa del tuo amico artista”
“A chi lo dici, ma non cambiamo discorso, io mi sarei stancato delle stranezze delle tre grazie, puoi pensarci tu a stabilire di nuovo le distanze, con tatto e gentilezza?”
“Se vuoi saperlo io sono più stanca di te ed anche preoccupata, pensi che stia uscendo di testa?”
“No,no fai bene ad essere preoccupata, non stai uscendo di testa”
“Intendevo MIA MADRE stia uscendo di testa”
“Non saprei, più che altro mi sembra succube delle amiche, ma che intenti abbiamo proprio non ne ho idea, l’unica cosa che ho capito è che ce l’hanno con me, forse non mi ritengono adatto a te”
“E secondo te non lo avrebbero detto a me invece di invitarti a cena e a.. messa?”
“Giusto, non so cosa pensare, comunque, stanco o no tra poco devo suonare, altrimenti non mangiamo”
Quella sera toccava di nuovo al birrificio Augusta Taurinorum, dove tutto ebbe inizio, per Ernesto era diventato un luogo sacro
Grande successo anche quella notte e le tre arpie ed il tristo figuro non comparvero, perfino Margherita gli sembrava particolarmente bella, serata perfetta..fino al momento in cui non usci fuori per accompagnare Glauco a fumarsi una sigaretta
“Beh rientro perchè ho bevuto tre birre e la natura chiama, vado a cambiare l’acqua all’albatros”. disse Glauco aprendo la porta
“Scusa perchè l’albatros? non si diceva il canarino?” chiese Ernesto sorridendo
“Ce l’avrai tu il canarino, io ho l’albatros”
“vai imbecille io rimango ancora due minuti fuori a prendere aria”
Guardò in altro, era una bellissima notte stellata, a Torino non se ne vedono tantissime per via dello smog
Quando riabbassò lo sguardo i suoi occhi incontrarono quelli di Don Carlo e la cosa lo fece trasalire violentemente
“MA LEI CHE CI FA QUI? E SOPRATTUTTO COSA VUOLE?”
“Ti devo parlare, posso darti del tu? potresti essere mio nipote”
“Adesso no, devo tornare a suonare, vediamoci domani mattina presto, verso.. mezzogiorno”
“Va bene, dove? “
“Qui davanti va bene?”
“Va bene, ma, ti prego, non dire niente a nessuno e,soprattutto, non portarti nessuno, altrimenti non ti posso parlare”
“Neanche la mia ragazza?”
“SOPRATTUTTO la tua ragazza”
Ernesto, a questo punto, era davvero preoccupato
Si salutarono dandosi la mano in modo formale, entrò e prese Lenny con affetto infinito, gli era rimasta solo lei
Glauco si avvicinò
“Allora, mandrillaccio, cosa gli fai alle donne? a questa in particolare?”
“Pena” disse Ernesto convinto “solo pena”
Tornò a casa poco dopo le due di notte, aveva camminato a lungo per Torino, quando si stese accanto a Margherita il piano era chiaro: li avrebbe assecondati per vedere se Margherita sul serio era accanto a lui solo per motivi di interesse
Gli venne in mente in quel momento che di Pia non aveva nemmeno il numero di telefono, veramente il massimo del tombeur de femme, l’unico modo di far cadere le donne ai suoi piedi era lo sgambetto, come sempre
Al solito tavolino del solito bar Ernesto e Carlin stavano curando gli ultimi dettagli
“Allora tu devi dire a Giovanna di aggirare la diffidenza di Margherita e di fare l’esorcismo questa sera lo stesso, l’esorcismo riuscirà, io domani sera farò finta di non saper suonare, tanto andiamo in un localaccio dove non torneremo mai più, hai capito bene?”
“Si, ma dove vuoi arrivare?”
“Voglio vedere se è vero che sono fidanzato con una zecca”
“Capisco” rispose Don Carlin seriosamente
Fu organizzato tutto, Giovanna finse un malore e pregò Margherita di starle accanto quella sera
Gina chiese Ernesto se potesse passare a prenderla in auto per accompagnarla a trovare Giovanna, Ernesto acconsenti subito pur sapendo che si trattava di un tranello
Ernesto avverti Margherita per telefono di questo intenzione e Margherita ne prese atto ma con una certa apprensione
“E a che ora vai a prendere Gina? c’è anche sua nipote?”
“Che io sappia no”
“Va bene”
Suonò al citofono di Gina alle 20 in punto
“Signora scende? cosi non cerco parcheggio”
“No mi spiace, non sono pronta, sali un attimo Ernesto, per favore”
Don Carlo era stato designato per offrire un bicchierino opportunamente corretto con del sonnifero, ma, naturalmente, si guardò bene dal operare la correzione”
Fatto stà che dopo cinque minuti Ernesto dormiva, o meglio fingeva di farlo, sul divano della sala di Gina
“Quanto dura l’effetto?”
“Io con mezza pastiglia dormo sei ore disse Ornella, se non succede nulla, certo se mi svegliano mi sveglio, non è mica anestesia”
“Quindi Don Carlo, dobbiamo fare pianissimo per non svegliarlo, pensa di esserne capace?”
“Lasci fare a me”
“Fu un rito brevissimo, l’accozzaglia di parole in un improbabile latino pronunciate da Don Carlo rischiarono un paio di volte di far scoppiare a ridere Ernesto rovinando la finzione della finzione della funzione”
“Fatto” disse infine l’esorcista “lo possiamo svegliare”
Se ne occupò Ornella dopo aver messo seduto Ernesto ed avergli messo in mano un bicchierino di liquore
“Ernesto!”. Arrivò con un buon quarto d’ora di anticipo, non c’era nessuno davanti alla chiesa, decise di andarsi a prendere un caffè nel bar dell’angolo della piazzetta
Don Carlo era già li, al banco, teneva teneva la tazzina del caffè con entrambe le mani, curvo, lo sguardo perso nel vuoto, Ernesto provò istintivamente compassione per lui
“Don Carlo” non ebbe risposta , provò ad alzare il tono di voce “DON CARLO!”
Don Carlo trasali girandosi di scatto
“Scusi non volevo spaventarla, pensavo che non ci sentisse benissimo”
“Ci sento, ci sento.. visto che siamo qui, possiamo parlare qui dentro?”
“Perchè no?”
“Carlo parlò per diversi minuti senza che Ernesto lo interrompesse mai, quando smise rimasero per almeno un minuto in silenzio guardandosi in volto, Ernesto aveva un’espressione enigmatica”
“Fammi capire, posso usare il tu?”
“Onoratissimo, certo”
“Allora, credendo che io sia, diciamo, migliorato come chitarrista perchè sono posseduto dal demonio, la mia ragazza, sua madre, due vecchie sconosciute e tu state apparecchiandomi un esorcismo per, diciamo, purificarmi, peccato che tu, a quanto mi dici, non solo non sei un esorcista, ma nemmeno un prete e hai preso in giro la combriccola facendoti dare un pacco di soldi, correggimi se sbaglio”
“Un riassunto perfetto”
“E io, adesso che cosa dovrei risponderti?”
“Quello che vuoi tu, sono vecchio e stanco, accada quel che accada, non voglio che tu sia la vittima della mia vita disperata”
Il sorriso di Ernesto si fece da enigmatico a palesemente maligno
“Prima di tutto grazie per avermi informato, per farti perdonare d’ora in avanti farai quel che ti dico e vedrai che converrà ad entrambi, quand’è che mi devi esorcizzare?”
“Domani sera a casa della signora Gina, l’amica di tua...suocera”
“Ecco la parola suocera non la voglio più sentire”
“Mai più la pronuncerò”
“Margherita, la mia ragazza, è d’accordo con questa pagliacciata?”
“Non l’ho ancora capito”
In quel preciso momento Margherita era nel centro di un drappello formato dalla madre, Gina ed Ornella
“Voi state facendo cosa???”
“Un esorcismo!” disse Ornella con la consueta enfasi
“Ammesso che queste cose esistano, ma voi volete far si che Ernesto perda le capacità che ci hanno improvvisamente migliorato la vita?”
“Bhe, detta cosi…” Giovanna tentennò
“Ditemela voi”
“Quindi sei contraria? Vorresti sposare un indemoniato per motivo di interesse?” disse Ornella scandalizzata
“ESATTAMENTE!!” rispose Margherita stizzita
Erano nel salotto di Gina
Pia, preoccupata dagli strani discorsi di sua zia Gina, era venuta a trovarla, era entrata con le chiavi che aveva per i casi di emergenza, ed era in corridoio da almeno un quarto d’ora, periodo più che sufficiente per ascoltare tutto, provò pena per l’oggetto della discussione, anzi sarebbe stato meglio considerarlo un obiettivo, un bersaglio
Decise di palesare la propria presenza, tornò alcuni passi indietro ed apri e richiuse la porta per simulare di essere entrata in quel momento
“Ciao Pia, accomodati, ti presento la mia amica Giovanna e sua figlia Margherita, Ornella la conosci”
“La conosco, la conosco..” disse Pia sorridendo
Tese la mano prima a Giovanna e poi a Margherita, e la stretta di mano di Margherita non le piacque per nulla, anche perchè stretta non lo era per nulla, come se non fosse un gesto gradito
La cosa era senz’altro reciproca, da quel momento Pia fece caso agli sguardi di margherita le rivolgeva, sempre furtivi, abbassando il capo, come un lupo abbassa il muso prima di attaccare
“Ma che vuole questa?” pensò Pia “Bel soggetto comunque, non vorrei essere al posto del povero Ernesto”. La natura altruista di Pia prese ben presto il sopravvento e decise che Ernesto sarebbe stato il suo prossimo obiettivo benefico, aveva bisogno di aiuto
“Allora dove suona Ernesto questa sera Margherita?” chiese Gina
“Oggi che giorno è?
“Venerdi”. “Allora suona all’Augusta”
Pia sapeva abbastanza per intervenire
Cercò il locale su google, avrebbe parlato ad Ernesto per metterlo in guardia
Il problema era riconoscerlo, ma sapeva il suo nome e che suonava quella sera, le sarebbe bastato
Pia chiese ad un’amica di accompagnarla, ma non le disse il vero motivo della uscita serale
Quella sera Margherita non c’era, come da un po’ di tempo accadeva, non accompagnava più Ernesto nei locali
Quando Ernesto e Glauco uscirono per la consueta pausa passarono accanto al tavolo di Pia
“Ernesto, questa sera non mi gira al massimo, devi scusarmi”
“Dici? A me sembra che tu vada benissimo!”
“Tu sei un bravo ragazzo Ernesto, non ti meritiamo, specialmente quel pezzo di merda di Maurilio, se tu decidessi di andartene ti capirei.” “Glauco, devi mollarci un po’ con la birra, hai la ciucca triste”
Disse Ernesto sorridendo
Pia non si perse una sillaba del discorso, sorridendo si alzò e li segui, anche gli ultimi dubbi che aveva sul fatto di avvisare Ernesto svanirono nel nulla
“Ciao sono Pia, sei bravo a suonare, io non me ne intendo molto ma lo capirebbe chiunque”
“Minnnchia che gnocca! e ti ha pure abbordato bastardo fortunato” Glauco sussurrò nell’orecchio di Ernesto
“Bhe io rientro mi sono dimenticato di far pipi” aggiunse a voce alta
Ma Ernesto non lo udi: era in estasi
“Bella, incredibilmente bella, e da dove è uscita? e mi vuole conoscere!” pensò
“Ti ringrazio.. Pia, fa sempre piacere sentirsi apprezzati, non è sempre stato cosi per me, sono Ernesto, dimmi che non sei mai venuta in questo locale, in caso contrario ho bisogno di cure o almeno di occhiali”
“Grazie, hai un modo un po’ articolato di fare i complimenti”
“Mi sa che ho un modo un po’ articolato di vivere” disse Ernesto ridendo
Ma Pia si era fatta seria
“Ascolta, è la prima volta che vengo a vederti e sono qui per un motivo preciso”
“Ecco, mi sembrava troppo bello, magari devo dei soldi a qualche suo parente”. L’euforia di Ernesto svani
“Senti se devo ho qualche debito con qualcuno, non c’è problema, dimmi solo quanto e a chi e sistemiamo la cosa”
Questa volta Pia rise di gusto
“No tranquillo, allora devi sapere che mia zia Gina , con la madre della tua fidanzata..”
“Mi vogliono esorcizzare”. “Ma lo sai già?”
“Si è una storia lunga, ma tu come fai a saperlo? ci sei dentro anche tu?”
“Assolutamente no, anzi ero qui per metterti in guardia, l’ho sentito per caso origliando”
“Allora grazie, sto prendendo provvedimenti, per fortuna la mia ragazza non c’entra”
“La tua ragazza effettivamente è contraria, ma..”
“Ma?”
“Niente, è contraria e basta, ma lo sa”
“Non mi convinci, cosa sai di Margherita?”
Pia avrebbe preferito tacere ad Ernesto il suo punto di vista
“In sostanza è contraria perchè nel caso che la cosa funzionasse davvero, e che tu avessi ottenuto il tuo talento da fonti diaboliche lei perderebbe il suo, diciamo, pollo dalle uova d’oro”
“Ha detto cosi?”
“Non le parole precise ma il senso è senz’altro quello”
“Capisco, ella mi ama alla follia, in euro”
Pia gli mise una mano sulla spalla in silenzio
“C’è solo una cosa che non capisco, perchè tu mi stai aiutando? non ci sono abituato”
“E’ che sono dell’ E.P.P.” disse Pia sorridendo
“EPP?
“Ente per la protezione dei polli”
“Non fa una piega.. torno a suonare, grazie di tutto” disse Ernesto tristemente.
Glauco lo accolse con un larghissimo sorriso
“Ma che gli fai alle donne eh? che le hai fatto a pocahontas?”
“Pena.. più che altro pena”
rispose Ernesto guardando dove era seduta Pia, ma non c’era più
Il piano di Ernesto era semplice, inscenare il finto esorcismo con l’aiuto di Don Carlo, far finta non saper più suonare e stare a vedere la reazione di Margherita
Il fatto era che un dubbio sul proprio talento lo aveva anche lui, anzi, ripensandoci, era quasi convinto che qualcosa di misterioso fosse accaduto davvero da quando lui e Lenny si erano incontrati
Insomma, se davvero l’esorcismo avesse funzionato e davvero ci fosse stato qualcosa da esorcizzare Ernesto rischiava tutto, lavoro, fidanzata… la sua vita futura.
Ma decise di procedere, non poteva continuare ad vivere per “grazia ricevuta” anche se fosse in realtà un regalo da Faust
Intanto i preparativi erano in corso anche sul fronte delle “complottiste”: Giovanna telefonò a Margherita dicendole che aveva avuto un piccolo incidente domestico e che aveva bisogno di aiuto, per tenerla lontana dal luogo dell’esorcismo, cioè la gasa di Gina
Contemporaneamente Gina telefonò ad Ernesto pregandolo di portarla a trovare Giovanna per la stessa scusa
“Signora la passo a prendere e l’accompagno a casa di Giovanna, ho capito bene? “
“Si, lei è gentilissimo è che mia nipote non c’è ed io non guido, e poi con i mezzi pubblici mi perdo”
“Va bene, ma come fa ad avere il mio numero di cellulare? non che ci siano problemi si intende, solo per curiosità”
Gina non era preparata alla domanda
“Me lo ha dato adesso Giovanna!” per fortuna le venne in mente una giustificazione al volo
Dopo una manciata di minuti Ernesto era sotto casa di Gina
“Non è che lo uccidiamo con questo sonnifero? Sei sicura di quello che fai?”
“Tranquilla” rispose Ornella “ sono venti anni che lo prendo”
“Don Carlo, facciamo cosi offra lei il bicchiere col liquore ad Ernesto”
“Come volete, quanto tempo dura l’effetto?”
“Eh dipende dalla dose, comunque dorme, non è mica anestesia, quindi bisogna essere delicati per non rischiare di svegliarlo”
“E che dose gli stiamo dando?” chiese Don carlo con espressione corrucciata
“Giusta” rispose Ornella dichiarando chiusa la disamina
Ernesto entrò, bevve il liquore offertogli da Don Carlo, non prima di aver chiesto cosa ci facesse il prete li, anche se lo sapeva benissimo
Naturalmente Don Carlo aveva scambiato i bicchieri e si era ben guardato dal bere il proprio
“Fai finta di dormire fino a quando ti tocco un orecchio ed assecondami” bisbigliò ad Ernesto che, prontamente, si finse prima assonnato e poi crollò su una poltrona
Segui una specie di rito celebrato da Don Carlo con una serie di frasi in un improbabile latino tanto che Ernesto si trattenne a stento dallo scoppiare a ridere mandando a monte la finzione della finta funzione
Finalmente Don Carlo gli tirò leggermente il lobo dell’orecchio e lui apri gli occhi fingendosi trasognato
“Scusate devo essere un po’ stanco, andiamo? “. Davanti a lui Ornella e Gina lo guardavano fisso con gli occhi sbarrati, immobili, con le mani giunte in posizione di preghiera
“Che c’è? dicevo andiamo a casa di Giovanna a vedere cosa è successo o no?”
Gina e Ornella si resero conto di avere ancora le mani giunte si si composero frettolosamente
“Certo! andiamo dalla povera Giovanna, dev’essere stata la scaletta, le dico sempre di non usarla, sarà caduta di nuovo”. “Allora don Carlo, per quella vendita di dolci per beneficenza ci sentiamo domani” disse Gina ammiccando
“Certo signora Gina, le faccio sapere se è libera la sala dell’oratorio” la assecondò Don Carlo ammiccando anche lui ma alla volta di Ernesto
Arrivarono a casa di Giovanna, Ernesto apri la portiera a Gina ed Ornella che si erano sedute nei sedili posteriori
Giovanna era seduta sul divano con una gamba poggiata lunga su un cuscino
“La scaletta vero? come l’altra volta!” disse Gina
“Eh si, di nuovo, ma la getto via questa volta, è vecchia”.
“Non è la scaletta che è vecchia!”
“Oh senti che ha parlato l’infante!”
“Ma io lo so e non mi arrampico!”
Ernesto pensò che tanta capacità di recitare , convogliata nel modo giusto le avrebbe senz’altro portate a hollywood, invece la stavano usando li, tutta per lui
Margherita arrivò dalla cucina con un sacchetto di piselli surgelati e lo mise sulla caviglia si Giovanna
“Ecco qui, per questa sera basta, quando si scaldano i piselli li togli e fino a domattina devi solo stare il più ferma possibile”
“Tanto gentile e quanto onesta pare Margherita mia mentre la madre aiuta” pensò Ernesto
“Senti Margherita, io andrei perchè sono stanco, domani sera suono di nuovo e voglio andare a dormire, domani andiamo in un locale di Crescentino se vieni con me mangiamo prima cena in una trattoria che mi hanno consigliato”
“Va bene, ma poi devo rimanere fino a quando non hai finito?”
“No, se ti stufi puoi prendere la mia macchina , io torno con Glauco”
Gina, Ornella e Giovanna si scambiarono uno sguardo d’intesa, l’indomani sera si sarebbe scoperto se il talento di Ernesto c’era ancora o era svanito per effetto dell’esorcismo, Margherita sarebbe stata la loro inconsapevole reporter dal fronte. In quel momento Pia stava entrando all’Augusta Taurinorum
“Scusi” disse rivolta a Carlo che stava portando delle birre
“Dimmi, quanti siete?”- “No, in realtà sono solo di passaggio, cercavo Ernesto ma ho visto che non c’è nessuno, non è che avrebbe il suo numero di telefono? pensavo di averlo memorizzato ma devo aver toccato il tastino sbagliato”
“Guarda se fosse lui a chiedere il tuo non glielo darei ma in questo caso… “
Carlo scrisse il numero su un sottobicchiere e lo porse a Pia con un sorriso
“Quello è un uomo fortunato, l’ho sempre detto io!”
Pia ringraziò e usci e, appena fuori dal locale, chiamò Ernesto
Il cellulare era sul mobile dell’ingresso, a casa di Ernesto, e quando suonò la più vicina era Margherita. “Ti sta suonando il telefono!” disse ad alta voce
“E chi è? è mezzanotte!”
“Numero sconosciuto!”
“Io non rispondo ai numeri sconosciuti”
“Come vuoi”
Al quinto squillo Pia si arrese, anche perché si rese conto che era molto tardi
Avrebbe riprovato l’indomani, forse, dopotutto lo aveva avvertito
L’indomani mattina Don Carlo ed Ernesto erano di nuovo al solito tavolo del solito bar
“Io non sono un uomo di cultura, ma GIPAETUS BARBATUS mi pare sia un uccello e AGIOLAX è un lassativo”
“E cosa vuoi? Io non sono mica un prete vero, non lo conosco il latino”
“Giusto, comunque se la sono bevuta direi”
“Secondo me si, ma adesso cosa facciamo?”.
“Questa sera suoniamo in un locale sperso in cui non torneremo mai più, l’ho scelto apposta, io suonerò malissimo convincendo le arpie che l’esorcismo abbia funzionato”
“E come faranno a saperlo, ce le portiamo dietro?”
“No, basterà Margherita, sarà lei a portare la lieta novella”
“Ma cosi la prendiamo in giro, non ti dispiace?”
“Non lo so ancora se mi dispiace”
“Sei un tipo strano”
“Ma senti chi parla ! Don Mistero!”
“Touchè”
La trattoria era di quelle classiche, sedie con la seduta in paglia intrecciata, tovaglia a quadrettoni bianchi e rossi, un aratro appeso ad una parete con i mattoni a vista, un campanaccio appeso di fronte, il tetto a volta, caminetto, e un barbera al centro del tavolo
“Ma ti conviene bere vino prima di suonare?” disse Margherita “io so che nel mondo dello spettacolo non si mangia mai prima di andare in scena, figuriamoci se si beve”
“Forse non hai tutti i torti, pensa che ho già sonno adesso” disse Ernesto infilzando un agnolotto al sugo di arrosto
Andarono al locale, al terzo pezzo Glauco si avvicinò ad Ernesto
“Ma che hai questa sera? Hai preso delle stecche che mi son venuti i capelli ricci”
“Hai ragione, non mi sento in vena, tiriamo avanti come possiamo, faccio solo accordi e accompagno, tanto qui a suonare non ci voglio tornare”
“Eh lo avevo capito, ma almeno avverti, comunque, mezzoretta e ce ne andiamo”
Margherita aveva sentito tutto
“Che hai? Non ti senti bene?” chiese ad Ernesto
“No è che mi sembra di non saper più suonare, capitano queste cose, è come andare in moto, certi giorni non ti entrano le marce, sbagli le curve e non sai neppure perché”
Al momento Margherita non diede peso alla cosa, ma l’indomani mattina, quando andò a trovare sua madre, un comitato l’attendeva ansioso
“Ciao Margherita” disse Gina con un gran sorriso “allora ieri sera com’è andata la cenetta nella trattoria con Ernesto?”
“E voi come fate a saperlo?”
“Ernesto te lo ha detto mentre eravate ancora qui, non ricordi?”
“Già, è vero, comunque la cena bene, è dopo che..”
“DOPO CHE?” chiese Ornella avvicinandosi
“Ma com’è che hai tutte le amiche intorno per una storta?” chiese Margherita
“E le amiche sono amiche, si vedono nel momento del bisogno, ma stavi dicendo del dopo cena.. ”
“No niente, è che glie l’avevo detto ad Ernesto di non bere vino prima di lavorare, cosi ha fatto una figuraccia, come se non sapesse più suonare”.
Si alzarono tutte e tre in piedi, compresa Giovanna apparentemente miracolata del guaio alla caviglia
“Beh? e la caviglia? cosa ci hai messo sopra? acqua di Lourdes?”
Ma Margherita capi in pochi secondi cosa stesse accadendo
“Mucchio di streghe! avete fatto davvero l’esorcismo! e come ? ma soprattutto quando?”
Abbassarono lo sguardo contemporaneamente, Giovanna si avvicinò alla figlia poggiandole una mano sulla spalla con un sorriso triste e le disse: “per il tuo bene, Margherita, lo abbiamo fatto per il tuo bene”
“Pregate, ma questa volta davvero, che Ernesto non sia tornato come prima per colpa vostra perché vi denuncio tutte! come avete fatto a convincerlo?”
“non lo abbiamo convinto, lo abbiamo.. addormentato”
“avete drogato una persona? ma questo è un reato grave! voi siete un branco di pazze”
“Hai ragione Margherita, ma se davvero non sa più suonare, vuol dire che un po’ di ragione ce l’avevamo anche noi” disse Gina
Margherita usci sbattendo la porta, decise di telefonare a Glauco per sentire il parere di uno del mestiere
“Glauco, ciao sono Margherita..”
“Ciao, cosa è successo? Ernesto come sta?”
“Sta bene tranquillo, appunto volevo chiedere a te come ti spieghi il fatto di ieri sera”
“Nel senso che ha fatto cagare?”
“Non lo avrei detto esattamente cosi però si, mi riferisco a quello”
“Non lo so, io so solo che mi son venuti i brividi, mi è sembrato di tornare indietro di un anno, Dio non voglia”
“Appunto, speriamo che non sia proprio Lui a volerlo” pensò con tristezza Margherita che cominciava a preoccuparsi davvero
Pia aveva il cellulare in mano da una decina di minuti e diverse volte era stata sul punto di chiamare Ernesto, quando il cellulare squillò riconobbe subito il numero
“Pronto?”
“Si buongiorno, ho ricevuto una chiamata dal suo numero ieri sera, anzi notte per essere più precisi e..”
“Sono io Ernesto, sono Pia, scusami ma non mi ero resa conto dell’ora”
“Ah eri tu! aspetta che memorizzo il numero, mi fa piacere sentirti, ti devo raccontare! quando ci vediamo?”
“Adesso?” chiese Pia sorridendo
“Adesso? Perché no? piazza castello accanto all’edicola tra mezzoretta?”
“Perfetto”
Passeggiando per via Garibaldi Ernesto inizio a raccontare
“Me lo aveva già detto il prete che mi volevano esorcizzare, mi sono accordato con lui, pensa che mi volevano drogare, dovevi sentirlo: da schiattare dal ridere , si è inventato delle frasi ridicole in un finto latino”
“E Margherita hai scoperto se fosse d’accordo?”. “No non sapeva niente, ma ieri sera ho comunque inscenato il test, ho fatto finta di non saper più suonare, ma lei non mi è sembrata sconvolta, anzi mi ha consolato.” “Beh, meglio cosi dai, almeno la fidanzata ti vuole bene”
Si lasciarono con una stretta di mano ed il proposito di sentirsi
Tornato a casa trovò Margherita seduta sul divano davanti al televisore, spento
“Ciao, a guardarlo cosi il televisore consuma pochissimo” disse Ernesto
“Dobbiamo parlare” rispose Margherita, una frase che un uomo non vorrebbe mai sentire, specialmente in bocca alla fidanzata o, peggio, moglie
“Ahi, aspetta che almeno mi prendo una birra” rispose Ernesto
Andò in cucina prese una corona e prese posto accanto a Margherita, con lo sguardo verso il televisore spento e disse “sono pronto”
“Allora, io a far la vita di prima non ci torno, mi sono resa conto che non abbiamo nessun progetto, tu dipendi da come ti va di suonare, non è un mestiere questo, un lavoro serio, io non me la sento..Insomma, voglio che ci prendiamo una pausa di riflessione”
“Pausa di riflessione, che frase di merda” pensò Ernesto “dopo -io non ti merito- si intende”
Guardava Margherita che continuava a parlare ma non la sentiva più, stava pensando a che scusa usare per richiamare Pia, ma certo, che scemo! Doveva dirle che Margherita era effettivamente una stronza, gli sembrò un argomento sufficientemente forte e sorrise
Sorriso che non sfuggi a Margherita
“Ah tu ridi! Ti dico che ci dobbiamo lasciare e tu ridi?”
“Sarà che mi son venuti in mente bei momenti passati con te, comunque, hai ragione, pausa di riflessione, e dove andresti a riflettere? Non a casa mia immagino”
Margherita schizzava furia dagli occhi, corse in camera da letto e raccolse forsennatamente la sua roba e la gettò nel trolley, dopo un quarto d’ora in casa regnava il silenzio
Ernesto telefonò a Don Carlo
“Senti Don, dove sei a dormire in che albergo?”
“Non ricordo, un nome banale.. ecco si LA STAZIONE mi pare”.
Don Carlo era veramente alla stazione di porta nuova a in una sala d’aspetto, visti gli ultimi eventi non aveva avuto modo di tornare alla sua chiesetta-rifugio
“Beh, guarda, per una serie di eventi potrei ospitarti da me, se ti fa piacere, dobbiamo portare avanti il nostro discorso, la sceneggiata ha avuto effetto, la mia fidanzata mi ha mollato”
“Oh mi dispiace, e cosa posso fare adesso per te? Vuoi denunciarmi?”
“Ma figurati, mi ci vedi a spiegare la storia ai carabinieri? Capaci che arrestano me per vilipendio all’arma, quello che devi fare adesso è tornare dalle arpie che ti hanno assoldato e riscuotere la somma perché il tuo sortilegio ha avuto effetto”
“E i soldi li vuoi tu immagino”
“Immagini malissimo, dai vieni che ti aspetto, lo sai dove abito?”
“Si mi avevano dato il tuo indirizzo per pedinarti le..arpie come dici tu”
Dopo un’oretta Don Carlo era seduto accanto ad Enrico con una birra in mano
“Ho telefonato, ho chiesto altri quattromila euro, ho detto che per meno di cinquemila nessuno fa più un esorcismo oggi come oggi”
“Che faccia di ceramica” Ernesto rise di gusto “e quando te li danno?”
“Domani mattina, alle undici davanti alla chiesa di San Giulio”
“Perfetto, allora senti il mio piano…” Alle undici in punto Gina, Margherita ed Ornella l’una accanto all’altra, marciando come marines arrivarono davanti alla scalinata della chiesa, dove le stava attendendo Don Carlo
Arrivate ad un metro da lui si avvidero che Ernesto e Don Silvano, il parroco di San Giulio erano in cima alla scalinata che li asservavano sorridendo
Don silvano scese lentamente verso di loro
“Care parrocchiane, io non so come dirvi quanto vi stimo ed ammiro, siete un esempio per la comunità, i nostri bimbi sapranno i vostri nomi ed anche i bimbi che verranno”
“Ma.. perché?” chiese con un filo di voce Gina che cominciava a temere di aver capito
“Una simile donazione non mi era arrivata nemmeno dai più ricchi del quartiere, gente che gira in Ferrari”
“E, di preciso, quanto abbiamo donat..” Ornella si interruppe per il dolore della gomitata infertagli da Gina che ormai aveva capito tutto
“Su non fate le modeste, date la busta a Don Silvano” disse Ernesto con finta bonarietà
Gina infilò la mano nella borsetta ed estrasse la busta gialla con riluttanza
Ornella le si avvicinò e le bisbigliò all’orecchio “ma perché glie li dai? Che ci possono fare?”
“Per sequestro di persona? Non so dimmelo tu” rispose sibilando Gina
“Ma che ne sa Ernesto? Dormiva”
“Avrà scoperto tutto, avrà fatto le analisi, avrà trovato il sonnifero nel sangue, comunque se è qui sa tutto, sa che lo abbiamo rovinato ed adesso non sa più suonare per colpa nostra”
“Giusto”. Gina porse la busta a Don Silvano e, contemporaneamente, Don Carlo glie ne diede un’altra bianca
“Ecco in tutto sono cinquemila euro” disse Don Carlo ad occhi bassi
“Che vi dicevo?” bisbigliò Gina “ha scoperto tutto e adesso è un miracolo se non ci denuncia tutti, Don Carlo per primo”
Si allontanarono tutti insieme, mentre Don Silvano li salutava dall’alto della scalinata insieme ad un gruppo di ragazzini
“Brave, cosi si spendono i soldi, quei bambini non hanno famiglia”
“E adesso cosa vuol fare Ernesto? Denunciarci?”
“Non lo so, non sapendo più suonare, grazie a voi e a questo stregone, dovrò cercarmi un lavoro Mal che vada verrò a batter cassa da voi, altrimenti, dritto dai carabinieri”
Passò qualche giorno, una mattina Ernesto, che continuava a dormire con Lenny, si alzò di scatto e fece cadere la preziosa chitarra per terra
Corse subito a provarla: non funzionava più
Venne preso dal panico, non c’era nessun dubbio che la sua fortuna era iniziata quando Lenny era arrivata nella sua vita, non avrebbe più avuto il coraggio di suonare senza
Era inginocchiato davanti alla chitarra poggiata sul pavimento quando entrò Don Carlo che ormai viveva con lui
“Cosa è successo? Sembri disperato”
“L’ho rotta! Io non so suonare senza di lei , me lo sento, sono finito!”
“Ma mi sembra che tra questo modo di pensare e l’essere posseduti dal demonio non ci sia una grande differenza, dai, non credi?”
“Pensa quello che vuoi, ma il martedi ero una schiappa ed il mercoledi che ho trovato Lenny sono diventato un fenomeno, magari porta solo fortuna ma la situazione è quella”
Era un venerdi, ed il venerdi all’Augusta Taurinorum c’era musica dal vivo, la sua musica
Ernesto entrò per ultimo, spalle curve, nella mano destra la custodia di una chitarra, una chitarra qualsiasi, Lenny era a casa, adagiata sul letto, sola ed inutile
Iniziarono a suonare, Don Carlo era in fondo alla sala, solo ad un tavolo
Entrò anche Pia che urtò leggermente un uomo che le chiese scusa senza parlare, con un cenno, toccandosi con due dita la tesa del cappello nero, con le borchie d’argento
Il primo pezzo andò liscio, Ernesto non fece miracoli ma neanche errori
Il secondo cominciò a sciogliersi un po’ di più e parti qualche applauso
Il terzo pezzo decise di lanciarsi in un assolo per vedere di che morte morire, ma si concluse con una autentica ovazione, come la prima volta che si esibi con Lenny, Ernesto non riusci a trattenere le lacrime
Glauco l’osservò in silenzio per qualche secondo poi scoppiò in lacrime anche lui
“Questo… questo qui ragazzi è un artista, di quelli veri, si commuove suonando!”
Ed abbracciò Ernesto mentre tutti si alzarono in piedi applaudendo
Anche Pia piangeva in fondo alla sala, si avvicinò e si sedette accanto a Don Carlo
“Ma perché si è messo a piangere quel matto?”
“E’ una storia lunga, bella e lunga, ma te la racconterà lui perchè, se ho capito bene, del tempo ne avrete per parlare”
Ernesto e Don Carlo erano seduti su due sdraio nel giardino di una bella villa ottocentesca, a pochi metri Pia stava potando delle rose
“Certo che si sta bene eh Don Carlo, che ne dici?” “Un sogno, non so come ringraziarti, mi sento.. in famiglia, e per me tu sei il figlio che non ho mai avuto, però ricordati l’accordo, io per te lavoro, non devi mantenermi”
“Certo, tu lavori per me, abbiamo chiarito, e poi ho sempre desiderato un.. maggiordomo, ti offendi se ti chiamo maggiordomo?”
“Al contrario, è uno dei mestieri più dignitosi che esistano, ma non chiamarmi più Don Carlo, Carlo e basta, ti spiace?”
“Carlo e basta, va bene, godiamoci questo pomeriggio, cielo azzurro temperatura ideale, uno schianto di ragazza, un maggiordomo.. che potrebbe rovinarci la giornata?”
“Ernesto!” la voce di Pia li fece trasalire
Si guardarono preoccupati
“SI?” “Non ti sembra che un prato cosi grande sia un po’ sprecato cosi, vuoto?”
“Ci mettiamo un campo da tennis?”
“No, pensavo di più a dei giochi per bambini, sai uno scivolo un altalena, cose cosi”
Dopo qualche secondo Ernesto ruppe il silenzio e mormorò a Don Carlo
“Se è un maschio lo chiamo Stevie”
“Stevie? E che nome è?
“Lo so io, ma io spero che sia femmina, i maschi a tredici anni gli viene il vocione e cominciano ad esprimersi a grugniti, le femmine no, ti danno affetto per tutta la vita, ma in questo caso sul nome non ci sono dubbi: la chiamiamo Lenora”
“Lenora? È ancora più strano di Stevie!”
“Tranquillo tanto la chiameranno tutti LENNY
“A proposito, la chitarra come sta?”
“Perfetta, non era nulla di grave, ma non la suono più”
“E come mai?”
“L’ho assicurata per quattrocentomila euro e l’ho data in prestito”
“Come? Una cosa cosi preziosa la dai in giro?”
“E’ in una teca antisfondamento, in una nicchia appositamente creata per lei, dove c’è il museo del cinema, dentro la mole Antonelliana”
“Ah allora è protetta”.
“Si, blindata, ad eccezione di un buchino, dove si può infilare solo un dito”
“Questa è bella, e perché?”
“Perché nel caso che sia magica e che Stevie Ray Vaughan voglia distribuire il suo talento non sarò certo io ad essere egoista, tutti dovrebbero avere la fortuna che ho avuto io”
“Bello, sei una brava persona”
“Già, infatti quella tipa è pazza di me!” disse Enrico sorridendo ed indicando Pia, che, ignara, rispose al saluto




Dedicato a STEVIE RAY VAUGHAN e LENORA DARLENE BAILEY

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