La dea ci vede
Una fredda mattina d'inverno.
Erano una cinquantina i metri che lo separavano dall'auto, ma gli sembravano mille.
Giorgio odiava il freddo, per lui era la cosa più vicina alla morte che ci potesse essere.
Il marciapiede era, come sempre, una costellazione dei segnali del passaggio dell'amico dell'uomo.
Mentre era concentrato sul raccapricciante slalom gli occhi di Giorgio caddero su un rettangolo di carta rosa.
Un biglietto da cinquanta mila lire!
Un barbone lo aveva appena superato, trascinando una vecchia bicicletta carica di tutta la sua esistenza.
Evidentemente il freddo della notte lo aveva stordito a tal punto da non fargli veder più nulla, poveruomo!  Che fare? "Questi soldi non sono lì per me, sono per lui, non c'è dubbio, tocca a me raddrizzare la sorte"  pensò Giorgio raccogliendo il biglietto.
Raggiunse il barbone e gli picchiettò sulla spalla, non ricevendo alcuna risposta.
"Scusi, le è caduto questo" disse a voce alta sbarrandogli la strada.
"A me? Certo , grazie!" rispose il barbone esterrefatto.
"Come è bello sentirsi buoni! Tutti dovrebbero provare questa sensazione! Quanti problemi in meno avrebbe il mondo!" Crogiolandosi in questi pensieri Giorgio raggiunse l'auto è partì per l'ufficio.
Nello specchietto poteva vedere l'uomo che infilava i soldi a fondo in una tasca interna.
L'indomani mattina il barbone non era al suo solito posto dietro il cartellone pubblicitario.
"Se n'è andato" pensò ad alta voce.
"Se n'è andato si! E' finito sotto una macchina, era ubriaco fradicio!" disse una signora da una finestra al piano rialzato.
Giorgio provò una fitta al cuore, gli aveva dato lui i soldi per ubriacarsi, era responsabile della morte di un uomo! Arrivò in ufficio affranto, si sedette alla scrivania e non accese nemmeno il suo computer.
Squillò il telefono.
"Ciao Giorgio" disse una voce angosciata al telefono "sono Riccardo, è successa una cosa terribile, ho investito un uomo! Avverti tu che non posso venire in ufficio per favore".
"Ma come è successo?".
"Mi è letteralmente saltato davanti, ballava e cantava sto imbecille, mi hanno detto che puzzava d'alcool forse questo mi salva! Proprio vicino casa tua".
Giorgio rimise giù la cornetta con molte difficoltà, gli tremavano le mani.
Bussò alla porta del capoufficio.
"Buongiorno, ha telefonato Moretti per avvertire che oggi non può venire in ufficio, ha avuto un incidente".
"Capisco, niente di grave spero" rispose il capoufficio.
"Ha investito un passante, non so come stia l'investito".
"Mi faccia sapere".
"Certo".
Rientrò in ufficio che il telefono squillava nuovamente.
"Ciao sono di nuovo io, il tipo che ho messo sotto se la caverà, solo che non posso lasciare i carabinieri, mi dovresti fare un favore: mia moglie mi aspetta, perché la devo accompagnare ad un colloquio di lavoro importantissimo, puoi andare tu per favore?".
"Ma non può prendere un taxi, un autobus, io sono in ufficio".
"Non è quello, è che non la posso avvertire in nessun modo, abbiamo appena traslocato, lei non ha il cellulare perché lo odia e non abbiamo ancora il telefono fisso, così è lì che mi aspetta, vai almeno ad avvertirla ti prego, se no mi uccide!".
"Tanto che era una giornata strana lo avevo intuito già da un po'".
Dopo aver avvertito il capoufficio, uscì e raggiunse la casa di Riccardo.
"Salve, lei non mi conosce, sono un collega di Riccardo, sono Giorgio".
"Ah si, la conosco, Riccardo mi ha parlato di lei salga! E' mica successo qualcosa!" rispose Clelia al citofono, ma ormai Giorgio era entrato.
Giorgio aveva sentito parlare di Clelia, ma non dal marito, da molti altri, ed avevano decisamente ragione: uno schianto!
"Non ti preoccupare, Riccardo ha investito un tizio, niente di grave, per fortuna, solo che deve restare dai carabinieri per le formalità del caso e mi ha detto di accompagnarti dove devi andare".
"Grazie, devo sembrarti un'incapace, ma mi hanno sospeso la patente per eccesso di velocità".
"Capita, ti aspetto di là mentre ti vesti"  infatti Clelia era tutt'altro che vestita, indossava solo un accappatoio rosa confetto.
"Dove devi andare?"  Clelia gli mostrò un biglietto con l'indirizzo.
"Dietro casa mia! Ma pensa un po'".
"Senti, siccome siamo in anticipo ti offro un aperitivo" disse Clelia appena arrivati.
"Grazie, accetto volentieri, c'è un bar lì all'angolo".
Il liquido variopinto nel bicchiere ed alcuni saporiti salatini portarono finalmente un po' di buon umore in Giorgio.
Cercando di prendere il vasetto delle olive urtò il proprio bicchiere che versò l'intero contenuto sul vestito di Clelia.
Clelia si alzò in piedi di scatto imprecando come un "camallo" imbizzarrito.
"Volevo prendere le olive, scusami..." Giorgio voleva scomparire.
"E come faccio adesso! Tra dieci minuti ho il colloquio! Sono sei mesi che lo aspetto, ci tengo a questo lavoro".
"Mia moglie! Andiamo a casa mia e ti metti un vestito di mia moglie, siete simili di corporatura!".
"Andiamo, dai, che forse ce la faccio!".
Il tailleur grigio era perfetto, il fatto che fosse leggermente stretto sul seno e un po' corta la gonna non ne peggiorava affatto l'impatto visivo, anzi.
"Direi che va bene" si limitò a dire Giorgio.
"Vado, faccio il colloquio e torno a riportare il vestito".
"Ok, io aspetto qui, tanto la giornata di lavoro è persa".
Non trascorse più di un'ora.
"Come è andata?" chiese con ansia autentica Giorgio.
"Direi bene, e, dalle direzioni che prendevano gli sguardi del capo del personale, direi che il vestito di tua moglie mi ha dato una bella mano".
"Vedi, non tutti i mali vengono per nuocere, ti riporto a casa?".
"Se non ti dispiace... come posso ringraziarti? Se non ci fossi stato tu... vado a togliermi il vestito, mi sblocchi solo la lampo della gonna che non riesco a muoverla né su né giù?".
Clelia girò la gonna finchè non portò la lampo sul davanti, in direzione di Giorgio che si era inginocchiato.
"E' vero, è bloccata, tienila di sopra che io la tengo di sotto".
Clelia tenne il capo superiore con entrambe le mani, Giorgio mise la mano sinistra all'interno della gonna e la destra a tirare il capo inferiore.
Avevano esaurito le mani, per tirare giù la linguetta metallica a Giorgio non rimasero che i denti.
E proprio mentre erano in quella posizione plastica irruppe la moglie di Giorgio.
"E questa chi è? In casa mia! Brutto maiale perverso, coi denti pure!" Seguì un intenso lancio di oggetti ed insulti vari.
"Guarda che non è come credi, questo vestito è tuo!".
"Pure! Depravati senza ritegno! Ed io che mi tormentavo per quella storia di Lampedusa...".
"Prego? Quale storia? Cosa è successo a Lampedusa?" Giorgio era in lieve allarme.
"Ti ho tradito anche io! Si con il pescatore di aragoste quello tutto abbronzato, ma almeno eravamo ragazzi adesso abbiamo due figli grandi, maiale!".
La situazione precipitò nelle settimane successive, le confessioni si susseguirono usate come armi di rivalsa, fino ad arrivare al divorzio.
Il povero barbone non si riprese mai del tutto dall'incidente e non lo rivide mai più.
Giorgio era andato a vivere in un tristissimo monolocale arredato, rallegrato solo di tanto in tanto, dalla visita dei suoi figli, che erano rimasti con la madre.
Anche gli incontri con Riccardo erano una parentesi piacevole fino a quella mattina.
Riccardo gli aveva telefonato in evidente stato di prostrazione.
"Allora? Cosa è successo, dai, confidati".
"Sai il colloquio di Clelia...".
"Si, era andato bene, era stata assunta no?".
"Era andato benissimo, Clelia se ne è andata, adesso abita col tizio del colloquio".
Rimasero seduti vicini, sulla panchina di pietra, a veder scorrere l'acqua limacciosa del fiume.
"Ridendo e scherzando abbiamo fatto le due, devo rientrare dall'intervallo di pranzo" disse Giorgio a bassa voce, senza alzare gli occhi da terra.
"Si, anche io" Rispose Riccardo tirandosi su il bavero del cappotto.
Si incamminarono lentamente.
Davanti a loro procedeva, ancora più lentamente, una coppia di signore anziane, dietro, un uomo con un grosso cane.
Giorgio vide un oggetto due o tre passi davanti alle signore, era una moneta da cinquecento lire! Come un centometrista scattò ad una velocità mostruosa, passò tra le donne scaraventandole di lato e si gettò sulla moneta urlando
"L'ho vista io, la devo prendere solo io, per favore!".
Le due signore, il signore col cane e Riccardo stesso si guardarono increduli.
Riccardo aiutò dolcemente Giorgio ad alzarsi prendendolo per le spalle.
"Incredibile come il denaro rende le persone senza dignità, per cinquecento lire, poi"
disse una delle signore mentre il padrone del cane scuoteva il capo.
"Voi non capite, non bisogna giocare con la fortuna, poi succedono cose... brutte".
"Vieni, magari oggi è il caso che non torni in ufficio, ti accompagno a casa"
disse Riccardo sottovoce.

§