Castelrotto
La campanella stava già suonando, Alessandro aumentò ancora la velocità, più forte non riusciva a correre.
Certo non era facile, il mattino, raggiungere la scuola in tempo.
Alessandro abitava in una frazione di Alba, in provincia di Cuneo.
La scuola era in un paese in cima ad una collina: "Castelrotto", ma lui, il castello, non l'aveva mai visto.
Era composta da una sola aula, in cui erano presenti gli alunni di tutti e cinque gli anni scolastici delle elementari.
Alessandro era in terza, Marina in quarta.
Com'era bella! Gli occhi erano blu come il cielo d'estate, la pelle bianca come i fogli di un quaderno nuovo, la bocca gli ricordava una ciliegia, i capelli lunghi e neri come l'inchiostro dei calamai.
Si usavano ancora i pennini metallici, montati su uno stelo di bachelite gialla, e si intingevano nei calamai, che erano incastrati nella parte superiore dei banchi.
L'inchiostro era il motivo per cui i grembiuli erano neri.
Il fiocco azzurro innestato sul collettino bianco rigido faceva un bel contrasto di colori.
Il bidello passava, ogni mattina, a rabboccare i calamai vuoti da un fiasco pieno d'inchiostro.
I banchi erano già grandi per i bambini di quinta, ma per quelli di prima erano immensi, così Alessandro si alzava spesso per aiutare i bambini delle prime file ad intingere il pennino per fare le aste e le "o".
La parte superiore del banco si alzava per permettere di accedere all'interno, dove si potevano riporre libri, quaderni e, soprattutto, le merende.
Alessandro la propria merenda non la metteva mai nel proprio banco, ma in quello di Marina, per estasiarsi nel vedere la sorpresa della bimba nel trovarla.
Marina non era indifferente alla devozione di Alessandro, ma, essendo più "vecchia", frequentava i bambini della sua stessa fila e di quella successiva, cioè di quarta e di quinta.
Dalle finestre entravano profumi di cui avrebbe avuto tanta nostalgia, una volta adulto.
Accanto alla scuola c'era il fornaio, arrivava un profumo di pane così intenso che sembrava di sentirne anche il sapore, nelle vicinanze c'erano tantissimi alberi di pesche, e si riusciva a distinguere il profumo di un tipo di pesca da quello di un altro: la pesca gialla aveva un aroma più dolce, mentre quella bianca sapeva di fresco e floreale, ma anche l'erba appena tagliata, i cespugli di menta ed erba cipollina ed il rosmarino facevano la loro parte per collaborare a quella sinfonia di fragranze.
Alessandro, dal suo banco di scuola, si divertiva a distinguerle una ad una.
Finalmente arrivavano le dieci ed un quarto, c'era la "ricreazione", si usciva tutti sul prato antistante la scuola, che era al piano terra.
"Ciao, ti è piaciuta la merenda?" disse Alessandro vincendo l'emozione.
"Buona" disse a bocca piena Maurilio.
"Io l'avevo data a Marina".
"E io l'ho presa, devi dire a tua mamma di mettere più marmellata la prossima volta".
"Non mi piacciono quelli che fanno a botte!" disse Marina prevenendo Alessandro che aveva già i piccoli pugni serrati.
"Allora devi stargli lontano, lui è meridionale, è un "napuli" loro fanno sempre a botte, me lo ha detto mio zio che porta il vino giù da loro".
"Sei un meridionale?" chiese Marina inorridita.
"Sono siciliano, non so cosa centra Napoli, mio padre e mia madre sono qui da molto tempo, io non c'ero ancora".
"Per noi siete tutti "napuli" tanto siete tutti uguali, anche se tu sei biondo e con gli occhi azzurri, io lo so che sei "napuli", me lo ha detto mio zio che ha portato la macchina da tuo padre".
Il padre di Alessandro aveva aperto una carrozzeria ad Alba, confidando nel fatto che la "provincia ricca" gli desse quello che la Sicilia non gli aveva dato.
Dopo pochi mesi si era convinto che la provincia fosse ricca anche perchè‚ gli abitanti del luogo non pagavano i carrozzieri.
Un giorno tornò a casa con un tovagliolo in mano.
Dal tovagliolo arrivava un odore intenso, molto simile a quello che faceva la bombola del gas quando stava per finire.
"Si chiama tartufo, mi hanno pagato con questo".
"Sembra una patata riuscita male, disse la madre di Alessandro, e come si cucina? fritto?".
"No, si fa il riso e si mette sopra a fettine".
"La prossima volta la macchina riparala almeno al panettiere va".
In genere queste cose divertivano Alessandro, che invece se ne stava in disparte in silenzio.
"Cosa c'è? Problemi a scuola?".
"No... anzi si, mi dicono che sono un "napuli" e cercano di farmi dire in continuazione "due peperoni bagnati nell'olio" in piemontese".
"E tu reagisci, fatti rispettare, se ti offendono, offendili, se ti picchiano tu picchiali più forte".
"Oggi mi sarebbe piaciuto tanto picchiare uno con i capelli rossi e la faccia di cane, ma una bambina ha detto che non le piacciono quelli che fanno a botte".
"E a te piace la bambina...".
"Si, è carina" rispose Alessandro imbarazzato.
"Certo che se comincia con le storie alla Romeo e Giulietta a questa età siamo fritti" disse il padre.
"Ha ragione la bambina, fare a botte è sempre una cosa brutta, anche se hai ragione, però se non c'è altra possibilità..." disse la mamma accarezzando Alessandro.
Il risotto non venne poi male, solo che era costato una settimana di lavoro del padre.
Ormai la scuola era diventata dispensatrice di gioie e dolori, entrambi in grandi quantità.
La gioia di rivedere Marina era grande, ma tanto era il rancore che Alessandro doveva reprimere ogni giorno, subendo le vessazioni di Maurilio ed un gruppetto di ragazzi di quinta, che collaboravano al suo tormento quotidiano.
Approfittando del fatto che Maurilio era a casa malato Alessandro avvicinò Marina.
"Senti Marina, potrei picchiare Maurilio una volta sola? Così poi mi lascia in pace, uso solo le mani, niente fionda e niente bastoni".
"Se lo fai non ti parlo più, e, comunque, non quando ci sono io, mi fa paura vedere i ragazzi che si picchiano".
Alessandro prese la risposta come un mezzo si, non gli restava che aspettare, Marina, una volta al mese, andava dai nonni a Torino, partendo il venerdì.
Quel venerdì pioveva.
Era una pioggia insistente, strana per il mese di Maggio.
Il cuore di Alessandro scoppiava.
La paura si scambiava in continuazione, nella mente di Alessandro, con la voglia di rivalsa, il desiderio di farsi e fare giustizia.
Il ricorso alla violenza è sempre traumatico, ma, se capita improvvisamente, per reazione, ci si lascia trasportare e la paura arriva improvvisa, a volte quando tutto è già finito.
Ma la situazione aveva imposto ad Alessandro una premeditazione, e questo amplificava tutto, paura ed odio.
Il suono della campanella lo fece trasalire violentemente, sembrava diverso da tutti gli altri giorni, molto più forte e prolungato.
Se non agiva subito avrebbe dovuto aspettare il mese prossimo, questo voleva dire un altro mese di angherie.
Si avvicinò a Giovannino, un bambino magrissimo con degli spessi occhiali marroni, anche lui sovente oggetto dei soprusi della cricca di Maurilio.
"Senti, devo picchiare Maurilio e tu mi devi aiutare".
"Io! Mia mamma non vuole che faccio a botte e poi loro sono in quattro".
"Stai zitto ed ascoltami, io mi trascino fuori lui, tu devi solo chiudere la porta e cercare di non fare uscire gli altri, o, almeno falli uscire uno per volta".
"Così loro picchiano me!".
"Io lo faccio anche per te, se sei un vigliacco peggio per te!".
"Non sono un vigliacco".
"Adesso vediamo, se sei un vigliacco".
Alessandro si mise con la spalle appoggiate alla porta finestra che dava in giardino.
"Ehi, faccia di cane! lo sai perchè i "napuli" fanno sempre a botte? per ammaestrare le bestie come te".
Maurilio non credeva alle proprie orecchie.
"Senti un po' questo, adesso ti faccio mangiare un po' di questo gesso, ne vuoi?" così dicendo prese una manciata di gessetti dalla mensola della lavagna.
"Grazie, avevo giusto fame, portameli un po'".
Mentre Maurilio correva verso di lui, Alessandro aprì la porta finestra e si fermò un metro fuori.
Appena anche Maurilio fu uscito Giovannino chiuse bene con la chiave e, dopo essersela messa dentro le mutandine, si gettò a terra di traverso a bloccare l'uscita.
"Maestra, mi fa male la pancia!" urlava mentre i compagni di Maurilio cercavano disperatamente la chiave.
I due ragazzi erano immobili, sotto la pioggia scrosciante, e si fissavano dritto negli occhi.
Maurilio, vedendosi solo, si era fermato, forse in attesa dei compagni.
"Sei solo, ho fatto in modo da bloccare i tuoi cani da guardia, adesso devi dirmi "due peperoni bagnati nell'olio", però in siciliano e se sbagli sono botte da orbi".
"Pensi di farmi paura?".
"Si, e tanta".
"Avete anche i peperoni voi, in Africa?".
"Sbagliato" disse Alessandro, ed assestò una tremenda testata nello stomaco di Maurilio.
Seguì una zuffa furibonda, la maestra faticò non poco a dividerli, dopo che era riuscita a spostare Giovannino dall'uscita.
Fu un lunedì diverso dagli altri, Alessandro arrivò in orario, Maurilio, invece, fu l'ultimo ad entrare in classe, nonostante abitasse proprio a Castelrotto.
Giovannino soffocò un risolino sommesso, Maurilio aveva l'occhio, e buona parte del viso, di un bel blu notte, con sfumature gialle.
Anche Alessandro portava i segni della colluttazione, solo che la ferita era all'interno del labbro inferiore, bastava tenere la bocca chiusa e non si vedeva niente, questo lo faceva risultare, di fatto, il vincitore.
Il sabato mattina erano venuti i genitori di Alessandro, convocati dalla maestra.
"Vostro figlio ha delle tendenze criminali, ha organizzato una aggressione ad un bambino, con tanto di complice e sceneggiata per tenermi lontana" aveva esordito la maestra.
"Se il bambino si chiama Maurilio la colpa è nostra, era un po' che nostro figlio si lamentava dei tormenti che questo bambino gli dava, ma credevamo che lei riuscisse a risolvere la situazione, così abbiamo preso tempo, altrimenti avremmo cercato noi una soluzione, magari parlando con i genitori del bimbo".
"Una soluzione pacifica immagino" aveva risposto, ironica, la maestra.
"Certo, non siamo mica bestie feroci".
I genitori di Alessandro andarono a trovare quelli di Maurilio nella stessa giornata ed il colloquio fu freddo, ma educato.
I genitori, insieme alla maestra, concordarono di sorvegliare con la massima attenzione i due soggetti a rischio, per prevenire altre scaramucce.
La campanella suonò, era la prima ricreazione dopo il fattaccio, tutta la classe guardava i due protagonisti in attesa degli eventi.
Maurilio si avvicinò ad Alessandro, sotto lo sguardo preoccupato della maestra.
"Hai visto cosa mi hai fatto? Potevi sfondarmi un occhio!".
Alessandro si sentì in colpa, non era affatto bello sentirsi causa della sofferenza altrui.
"Se ti fa piacere io ho il labbro rotto guarda!".
Prese il labbro inferiore con due dita e lo rivoltò.
Aveva un taglio di almeno due centimetri.
"Riesci a mangiare?".
"Solo gelati!" disse Alessandro ridendo.
"Certo che però sei coraggioso, ti sei preso a botte tante volte in vita tua?".
"No, tu sei il primo e avevo paura anche io".
"Cosa vuol dire anche io, io non ho avuto paura".
"Niente?".
"Poca" disse Maurilio tirando scherzosamente un cancellino.
Gli amici di Maurilio equivocarono la situazione e fecero per aggredire Alessandro ma Giovannino si frappose tra loro con fermezza.
"Calma, ci sono anche io!".
"No, fermi, stavamo scherzando".
Tutta la classe era incredula, ma dovette arrendersi all'evidenza, la guerra era finita.
"Sai" disse Alessandro poggiando una mano sulla spalla di Maurilio "tu non sei cattivo, ma allora perchè‚ mi dicevi tutte quelle cose sui "napuli", quelle cattiverie".
"Mio padre e mio zio le dicono sempre, forse conoscono solo "napuli" cattivi".
"Quando saremo grandi noi queste cose non succederanno più, sai che hanno detto in televisione che a luglio qualcuno va' sulla luna?".
"E tu ci credi? io no" disse Maurilio masticando un filo d'erba.
"La campanella, è finita la ricreazione, domani ti insegno a fare il fucile ad elastici vuoi?".
"Si e io ti faccio una cerbottana a quattro canne, ma...come si dice "due peperoni bagnati nell'olio" in siciliano?".
"Bho! Non so neanche se in Sicilia ci sono i peperoni!" Rientrarono in classe ridendo.