Capitolo 1°
Il rumore ritmico
del tergicristallo e lo scrosciare della pioggia invitavano ad
immergersi nei propri pensieri
Saverio non aveva affatto gradito questa trasferta.
Certo se la era andata a cercare, era riuscito ad andare a letto
proprio con la segretaria del capo, fosse almeno stata la moglie! Ma
proprio la segretaria no, non l'aveva mandata giù, il pezzo grosso.
Così era saltata fuori questa trasferta a Mantova, nel bel mezzo
dell'autunno, quando nebbia, pioggia e freddo sconsigliano i viaggi,
Saverio era dovuto partire.
Da quel momento in poi, tutti i lunedì, avrebbe dovuto abbandonare la
sua villetta nel mezzo dell'appennino Ligure per raggiungere questa
città di cui non sapeva nulla.
Come sarebbe stata la gente del luogo?
Doveva trovare una sistemazione in un albergo decente, per prima
cosa.
Quattro ore tonde di viaggio, ed eccolo arrivato.
I colori dell'autunno davano un aspetto dolce e malinconico alla
campagna, e la città gli diede subito l'impressione di un luogo sereno
ed accogliente, quasi familiare.
La porta del bar aveva i vetri appannati dal primo freddo autunnale,
ma, all'interno, il caldo ed il profumo di caffè' e di croissant appena
sfornati erano un'accoglienza deliziosa.
Il barista descrisse con precisione la strada da seguire per
raggiungere la ditta in cui Saverio sarebbe andato a lavorare.
Uscì dal bar a malincuore e, a piedi, raggiunse l'edificio
indicato.
"No, non Morgavi e neanche Morgani, mi chiamo Morgari! Saverio
Morgari!".
"Chissà quanto costa cambiarsi il cognome! Rossi! Così lo capiscono
tutti" pensò Saverio mentre si aggirava nei corridoi alla ricerca
dell'ufficio della dottoressa Mantegna, come da indicazioni
dell'usciere.
"Sarà vecchia, brutta, grassa, zitella e perennemente incazzata, me lo
sento".
"Il dottor Morgari! Benvenuto! Ha trovato nebbia?".
"Un po', spero tanto che lei sia la dottoressa Mantegna!".
"Si, sono io, dovrà sopportarmi a lungo nei prossimi mesi, dovremo
lavorare a stretto contatto di gomito".
Saverio le strinse la mano con forza.
"C'è una chiesa nei dintorni? Devo andare ad accendere un cero".
"Lei è troppo gentile e poi aspetti ad essere contento, non mi conosce
ancora..., dunque, iniziamo dall'antefatto...".
Aveva ragione, era un treno in corsa, parlò ininterrottamente per tre
ore e mezza senza neanche fermarsi per un caffè.
Saverio si era svegliato alle cinque per arrivare a Mantova in un
orario accettabile.
Per non crollare addormentato, ricorse a tutti i sistemi che
conosceva.
Solleticarsi il palato con la punta della lingua, sedersi in una
posizione molto scomoda, immaginare le persone che ti circondano in
situazioni ridicole od imbarazzanti, punzecchiarsi il palmo delle mani
con una puntina da disegno.
Solo l'ultima soluzione ebbe qualche risultato.
"Forse le farebbe piacere fare una piccola pausa?".
Saverio si guardò riflesso su una lampada da tavolo metallica.
Aveva una ridicola espressione, tra il depresso ed il trasognato, quasi
da Basset Hound.
"Se non le dispiace prenderei volentieri un quartino di caffè
bollente".
La dottoressa rise, e Saverio si incantò ad osservarla, era veramente
bella, gli occhi grandi e di un verde smeraldo intenso, i capelli
biondi e lunghi e due deliziose fossette sulle guance che l'espressione
seria non aveva ancora rivelato, il naso e la bocca erano piccoli e
perfetti.
C'era un piccolo neo sul collo, esattamente a metà tra spalla ed
orecchio.
Saverio provò un'irresistibile tentazione di mordere proprio in quel
punto.
"Forse il caffè del bar è più indicato per... aiutarla a riprendersi"
"Si, a patto che possa offrire io".
Un impiegato entrò nell'ufficio e disse qualcosa sottovoce.
"Mi chiamano al telefono può aspettarmi un attimo?".
"Certo, nessun problema".
Ne approfittò per curiosare tenendo sotto controllo il suo affascinante
capo dalla vetrata che dava sull'ufficio accanto.
Alle pareti c'erano solo poster che illustravano le attività
dell'azienda.
La scrivania era ordinata a livelli paranoici, le matite erano riposte
in una scatola di legno ordinate per dimensione, e le biro per
colore.
Il video del computer, la tastiera ed il mouse erano coperti dalle
rispettive protezioni in plastica.
Il tappetino del mouse aveva impresso naturalmente il logo
aziendale.
La scrivania era essenziale: una lastra di cristallo su quattro
cilindri di legno scuro.
Non c'erano cassetti.
Ma, intanto, aveva notato la dottoressa agitarsi al telefono, la
curiosità gli impose di premere il tasto dell'interfono.
"Le ho detto che non è adatto! Dorme in piedi! Nella mia azienda
persone così non sono gradite! Cosa vuol dire che c'era solo lui!
Guardi, per questa settimana posso darle una chance ma non si faccia
illusioni, se non ingrana se lo riprende e non le do' una lira!".
"Mi sa che la mia avventura a Mantova sarà brevissima" pensò
Saverio.
Non sapeva se quello che stava tartassando il suo amor proprio fosse la
mortificazione professionale o quella personale, comunque si sentiva
estremamente depresso.
Approfittò dell'arrivo della segretaria.
"Senta, devo correre in auto perché ho sentito l'antifurto, può dirlo
alla dottoressa per favore?".
"Certo, non si preoccupi".
Il barista lo riconobbe.
"Trovato l'ufficio?".
"Si, purtroppo si, mi faccia un caffè doppio, ci sono mica dei cannoli
allo zabaione che mi tiro su?".
"Lì nella vetrinetta, se vuole nel caffè metto cioccolata calda e
zabaione, una vera bomba".
"Faccia pure, non lasciamo nulla di intentato".
Un miliardo di calorie dopo, Saverio era di nuovo accanto alla sua
carnefice, pronto ad essere macellato, ma almeno da sveglio.
Provò a rendersi simpatico.
"Dottoressa Mantegna, l'avrà un nome di battesimo!".
"Si!" fu l'unica risposta.
"Che combinazione! Ce l'ho anche io" disse quasi tra se Saverio,
rassegnandosi al fatto che i rapporti amichevoli erano da ritenersi
esclusi.
Una sagoma familiare si stagliò dietro ai vetri dell'ufficio, nel
corridoio.
Considerando la spaventosa puzza di sigaro non poteva essere che
Manlio, il suo amico Manlio! Erano anni che non lo incontrava.
Incurante del fatto che la dottoressa continuasse, pervicacemente, nel
suo prolasso verbale, Saverio si alzò e raggiunse l'amico.
"Saverio! Non ti ho mai visto a Mantova! Da quando sei qui?".
"Da questa mattina, e penso che non ci rimarrò per molto.
Sono stato mandato qui in esilio per aver messo gli occhi e pure il
resto sull'amante di Forreni, e, se non ho capito male, mi ha pure
fatto una specie di sponsorizzazione al contrario con la biondona alle
mie spalle, anzi, vedi un po' se si è accorta che sono uscito
dall'ufficio!".
"Dunque, ha le mani ai fianchi, ti guarda fisso come se ti volesse
incenerire, ha gli occhi sbarrati, le labbra serrate ed è paonazza,
direi che se n'è accorta si!".
"Ma com'è che sei andato a dar fastidio all'amante del capo, non lo sai
che non si fa'?".
"Era così carina, e poi ero depresso, avevo appena divorziato".
"Di nuovo!".
"Di nuovo, sono sfortunato in amore, ma parlami del mio capo al di la
dal vetro, che tipo è?".
"Chi, la Chiara? Sintetica! La chiamano proprio così.
Perchè và sempre al punto ed è talmente senza sentimenti che sembra
fatta di plastica.
Secondo me se le guardi dappertutto trovi la targhetta made in Taiwan,
per lei esiste solo il lavoro, niente marito, niente figli, niente
ferie, dicono che sia diventata così per una delusione amorosa, ma
nessuno l'ha mai vista parlare con un uomo di qualcosa che non fosse
sul listino dell'azienda".
"In sostanza odia gli uomini".
"Questa odia tutti!" disse Manlio scuotendo il capo.
"Pensa che ha già detto a Forreni che non mi vuole tra i piedi, perché
sono troppo addormentato per i suoi gusti!".
"Vuoi che ti raccomandi con il mostro?"
"No, anzi, io me ne voglio andare, ho nostalgia del mio caminetto,
ultimamente lavoravo a casa collegato via Internet, si stava così
bene".
"Guarda che questa città è magica e si mangia benissimo, dai retta ad
un intenditore" disse Manlio accarezzandosi la grossa pancia.
"Rimani in città per questa sera?" disse Saverio accennando a rientrare
in ufficio.
"Io ormai vivo qui, questo è il mio indirizzo, telefonami prima di
uscire" rispose Manlio porgendogli un biglietto da visita.
Saverio tirò un bel respiro e si gettò nell'ufficio.
"Se lei non è interessato a questo lavoro ha solo da dirlo ed amici
come prima, senza comportarsi in modo maleducato! Se non l'ha notato,
quando si è alzato e se ne è andato, stavo parlandole!".
"Ha ragione, ma temevo che il mio amico sparisse prima che io riuscissi
a salutarlo, mi sono accorto che mi stava parlando, ma dopo la prima
mezzora pensavo che fosse solo il suo modo di respirare".
"Lei è uno stronzo! Questo lo ha notato?".
"Le dispiacerebbe darmi del tu, quando mi da dello stronzo? Qualcuno
potrebbe pensare che voglia tenere le distanze, mentre lei è così
umana!".
Dopo un quarto d'ora Saverio era già in macchina alla volta del proprio
caminetto.
Nello stesso istante Manlio, camminando nel corridoio tra gli uffici,
roteava il sigaro acceso tra le dita della mano destra, nella sinistra
reggeva il cellulare.
"Si, hanno bisogno di qualcuno che gli renda il sistema informatico più
sicuro contro gli accessi esterni, e, soprattutto, più sicuro nei
confronti del rischio della perdita dei dati".
Come una lenta locomotiva, lasciava delle nuvole di fumo azzurro nel
corridoio, rivolgendo la bocca verso l'alto.
"C'era qui uno che conosco, Morgari, ah lo conosci anche tu... lo hanno
cacciato, e pensa che è il migliore per questo genere di problemi...
chi lo ha cacciato? La solita, la sintetica! Si ce l'ho il numero di
Morgari, perché?".
Saverio stava chiudendo il cancello quando sentì il telefono
squillare.
Corse in casa e rispose trafelato.
"Ciao, sono Manlio, ti devo parlare...".
"Ciao! Mi sono dimenticato qualcosa in giro?" disse Saverio tastandosi
le tasche.
"No, è che... è un discorso lungo, magari ti vengo a trovare e ne
parliamo".
"Vieni pure, ma lo sai dove abito? Sono quattro ore di strada".
"Si, non ti preoccupare, ci sono abituato".
A sera il salotto di Saverio era saturo di fumo.
"Col caminetto è bastato far pulire la canna fumaria, ma con te cosa
bisogna fare?"
"Scusa, non riesco a farne a meno, ma veniamo al motivo della mia
visita, te la faccio breve: devi tornare a Mantova".
"Dalla sintetica? Piuttosto vado ad insegnare il tip tap ai coccodrilli
in Australia, è più facile e meno pericoloso".
"La belva è stata scavalcata, si sono parlati, il mio capo, il tuo ed
il suo, e la signora è servita, mi hanno detto Chiaramente che,
piuttosto che rinunciare al tuo operato, la licenziano".
"Ma se non sono mai stato a Mantova in vita mia! Come fanno a sapere
che gli sarò così utile?".
"Avevi risolto una situazione identica a Milano tre anni fa, il capo
della sintetica, allora, lavorava proprio lì e ti conosce benissimo, si
chiama Molteni".
"Ah si, certo! Le vie dell'informatica sono proprio infinite, si
direbbe che io non possa rifiutare!".
"Non puoi rifiutare questo!" disse Manlio poggiando una busta sul
tavolino di cristallo.
Saverio la aprì senza dire nulla e, dopo aver visto il contenuto,
rimase immobile a fissare Manlio.
"E' un rimborso spese, un forfait, direttamente fornito dal cliente, da
Molteni, serve per vitto, alloggio ed eventuali".
"Tu hai visto la cifra dell'assegno?".
"No, certo, ci mancherebbe".
"Ce lo puoi comprare l'albergo, son dieci milioni al mese per sei mesi,
così c'è scritto, ma per fare cosa?".
"Sicurezza, non so altro, se ne escono sempre con questa parola, hanno
paura di tutto, di chi può introdursi nel sistema dell'azienda
dall'esterno, e di perdere i dati dall'interno per accidenti di
software o chissà che".
"Ma che segreti hanno questi, che producono alimentari? Qualche ricetta
della nonna?".
"Devo essere franco? Non me ne frega niente, ma, per onestà, ti devo
confessare che mi hanno promesso un bonus qualora fossi riuscito a
convincerti, facciamo a metà?".
"Tienitelo il bonus, vengo solo per vedere che faccia fa quella
belva".
"Bravo, vedo che, con gli anni, sei diventato più saggio, partiamo
subito?".
"Con quello che ti sei bevuto e mangiato questa sera ti addormenteresti
nel cortile, prima di arrivare alla macchina.
Adesso andiamo a nanna e domattina si va a salvare Mantova".
"Non posso che obbedire al padrone di casa, ma ci terrei a dimostrarti
la mia assoluta lucidità".
Manlio assunse una buffa posizione tenendosi in equilibrio su un solo
piede con le mani appoggiate sopra la testa.
"Visto? Reggo l'alcool come una botte di rovere, ci vuol altro per
ubriacarmi!".
"Sono molto impressionato, purtroppo io non lo reggo altrettanto bene e
ho difficoltà a reggermi anche su due piedi quindi, ribadisco, a
nanna".
Manlio si sistemò sul divano della sala, nonostante Saverio gli avesse
offerto la propria camera.
Saverio cadde addormentato come un sasso.
Una sensazione di umido lo svegliò.
L'assoluta oscurità della stanza gli impediva di vedersi anche le mani,
nonostante le avvicinasse quasi a sfiorarsi il naso.
Muovendosi ebbe l'impressione di trovarsi in una vasca piena un liquido
vischioso anzichè nel proprio letto.
Terrorizzato cercò a tentoni l'abat jour , ma non trovò neanche il
comodino e cadde.
Il pavimento era freddo e viscido, ed ancora più imbrattato di quel
liquido viscoso.
Decise di cercare la finestra.
Non incontrò nulla sul pavimento, neanche il letto da cui era appena
caduto!
Un forte tremito si impadronì di lui, talmente forte da fargli battere
i denti.
Non sapeva se fosse freddo o terrore, infatti un aria gelida gli
soffiava addosso da dove doveva essere la finestra, ma lui la sera
prima l'aveva chiusa!
Si ricordò di essere andato a letto vestito, mise la mano in tasca e
trovò l'accendino che la sera prima aveva usato per accendere il
caminetto.
Alla tenue luce della fiamma gli apparve una scena da incubo.
Il liquido che lo inzuppava da capo a piedi era indubbiamente
sangue.
Tutto era grondante sangue, anche le pareti, che erano diventate di
nuda pietra, e le pesanti tende nere di velluto, che erano l'unica
protezione della finestra, che non aveva nessun serramento, era solo un
buco rettangolare che dava all'esterno.
Urlò con tutto il fiato che aveva, ma non si udì alcun suono.
Improvvisamente una luce arrivò dalle sue spalle.
Si voltò.
Adesso era in un salone candido, delle grandi torce ardevano alle
pareti.
Dei blocchi di pietra alti un metro e lunghi due erano allineati su due
file al centro.
Sui blocchi erano stesi dei corpi, di cani, agnelli, e quello di un
uomo.
Il tremito si fece violentissimo, gli bloccava anche la respirazione
che divenne quasi impossibile.
Un uomo, avvolto in un mantello che lo ricopriva completamente venne
verso di lui a grandi passi, Saverio non riusciva a muovere neanche le
palpebre.
Finalmente riuscì a chiudere almeno gli occhi, aspettandosi il fendente
che sembrava diretto al suo cuore.
L'uomo che avanzava verso di lui, infatti, reggeva un coltello e lo
teneva puntato in avanti.
Quando Saverio riaprì gli occhi, si rese conto che, quella specie di
sacerdote, lo aveva attraversato senza vederlo, e, con il coltello,
stava aprendo l'addome dell'uomo disteso sul blocco di pietra alle sue
spalle.
In un primo momento provò sollievo, ma vedere il volto dell'uomo
disteso lo rigettò nella disperazione: l'uomo era lui, quello era il
suo cadavere!
Il sacerdote si girò nuovamente, con entrambe le mani reggeva quello
che sembrava un fegato e lo sollevò verso la luce di una torcia.
Un oscurità totale lo avvolse.
Un lampo di luce alle sue spalle, si voltò e vide un essere alto poco
più di un metro a pochi passi da lui.
Era coperto da un saio da frate ed il cappuccio rendeva invisibile la
testa.
Con lentezza, con la piccola mano, scostò il cappuccio rivelando il
volto di un bambino che, dai lineamenti, dimostrava circa sette o otto
anni, ma dai capelli argentei.
Il bimbo gli tese le mano con il palmo rivolto verso l'alto,
sorridendogli, e Saverio si sentì salvo.
Mentre cercava di avvicinarsi al bimbo si sentì cadere nel vuoto.
"Svegliati! Per l'amor del cielo, che ti piglia!"
Manlio lo stava scuotendo violentemente per le spalle, si trovavano in
giardino, e lui era fradicio di pioggia ed a piedi nudi.
"Dio ti ringrazio, era solo un sogno" disse Saverio crollando a sedere
sull'erba sotto una pioggia scrosciante.
Anche Manlio, evidentemente spossato, gli si sedette accanto.
"Era solo un sogno? E quando hai un incubo cosa fai? Dai fuoco alle
case vicino? Era almeno un quarto d'ora che continuavo a scuoterti come
un mixer e tu non ti svegliavi, anzi, continuavi ad urlare in un modo
da fare accapponare la pelle, e che cavolo ci facevi qui fuori?".
"Signor Morgari tutto bene? Ci sono i ladri?".
Era la vicina di casa che li illuminava con una torcia elettrica da
dietro la recinzione.
Saverio si coprì gli occhi con una mano, infastidito dalla luce.
"Tutto a posto signora, grazie, mi era sembrato che ci fosse qualcuno,
ma doveva essere un cinghiale".
Tornarono in casa.
Saverio zoppicava leggermente.
"Cosa c'è hai preso una storta?" chiese Manlio sorreggendolo.
"Non lo so, ieri sera non avevo niente, mi fa un male cane la caviglia
destra".
Manlio cercò un paio di volte di appiccare il fuoco alla legna nel
caminetto, riuscendo solo a scottarsi le dita.
"Lascia, ho un accendino fatto apposta, vado a prenderlo su in camera
mia, questo è fradicio" disse Saverio gettando via quello che stringeva
ancora in mano.
"No, vado io, tu zoppichi pure, e poi sei pallido come un
cadavere".
Manlio si avviò lentamente su per la scala.
Saverio vedeva ancora scorrere davanti agli occhi le immagini del suo
incubo.
Manlio era riapparso in cima alla scala e lo guardava fisso senza
parlare.
"Non l'hai trovato? E' sul comò, perché mi guardi così?".
"Forse è meglio se vieni a dare un'occhiata su".
Aiutato da Manlio Saverio salì al piano di sopra.
La porta della camera era aperta, anzi, non c'era.
L'interno della stanza sembrava devastato da un incendio.
Tutto era carbonizzato o, quantomeno, annerito dal fumo.
Del letto era rimasta solo la struttura in metallo, anche le doghe in
legno non c'erano più.
"Per ridursi così, deve aver bruciano per ore ed ore, e noi siamo
andati a letto non più di mezzora fa, e come è possibile che non si sia
visto il fumo, non si sia sentito odore di bruciato, ero ad una rampa
di scale di distanza, e tu come sei arrivato in giardino? E senza
svegliarti anche!".
Saverio aveva il volto coperto dalle mani, non riusciva a capacitarsi
di quello che stava vedendo.
"Come sono arrivato in giardino è chiaro, e spiega anche la mia
caviglia" disse indicando la finestra spalancata, con il telaio
bruciato.
"Ma cosa è successo a questa stanza?".
"Un fulmine, non c'è altra spiegazione, per forza che eri sconvolto,
altro che sogno!".
Dopo tre ore Saverio era ancora avvolto nella coperta.
Guardava la luce azzurra lampeggiare nel suo giardino, dietro i vetri
del salone.
Avevano parcheggiato l'autobotte proprio sul cespuglio delle rose
gialle, ci aveva messo quattro anni a farle fiorire.
Entrarono Manlio ed un vigile del fuoco parlando fitto, guardavano ora
verso la stanza bruciata del piano di sopra, ora verso di lui.
"Forse darebbe il caso che lei si facesse vedere da un medico".
"No, sto bene, almeno fisicamente, ho disturbato voi solo per
assicurarmi che non ci fossero altri rischi di incendio, e per far si
che qualcuno vedesse quello che era successo, l'assicurazione non mi
avrebbe mai creduto".
"Temo che non crederà neanche a noi" disse il vigile gravemente.
"Vede, i fulmini cadono e anche sovente, e fanno danni simili, ma non
ne ho mai visto nessuno entrare in una stanza dalla finestra, sbattere
fuori l'inquilino e poi fondere tutto a due o tremila gradi".
"Tremila gradi?".
"Si, parte della rete metallica e della struttura del letto è
fusa".
"Lei ha steso un verbale di quello che ha rilevato?".
"Certo, questa e la sua copia, e faccia mettere un parafulmine alla
casa, è meglio".
"Già, questo è poco ma sicuro, ma servono davvero?".
"Con i fulmini normali si...".
L'autobotte sparì dietro la curva tra gli alberi tingendoli con i sui
lampi azzurri.
"Che ne diresti di provare a dormire? Domani dobbiamo partecipare ad
una riunione e non saremo tanto presenti, temo".
"Tanto per la belva sono già uno che dorme in piedi...".
"La belva, domani, non ci sarà, te l'ho detto".
Si addormentarono subito, e si risvegliarono a giorno fatto.
Partirono appena pronti ed arrivarono a Mantova a mezza mattinata.
"Meno male che abbiamo avvertito che saremmo arrivati un po' in
ritardo, sono quasi le undici" disse Manlio stiracchiandosi.
"Mentre siamo ancora soli, c'è qualcosa che sai e non mi hai
detto?".
"In che senso?".
"Sai il motivo per cui vogliono proprio me e, soprattutto, perché la
somma che mi offrono è così alta?".
"Te l'ho già detto! Il dirigente ti conosceva già e non vogliono
perdere dati, non so altro, ma di cosa hai paura? Possibile che sei
sempre così sospettoso!".
"Ho paura che sotto ci sia qualcosa di illegale, in genere è in quei
casi che aumentano le paghe".
"Senti, ti prometto che cercherò di sondare il terreno finchè non
scoprirò qualcosa di più, ho il tesserino elettronico che mi da libero
accesso a tutti gli uffici e, soprattutto, a tutti i laboratori, anche
se non ho mai sentito la necessità di usarlo".
"Grazie, sei un amico".
"Un grosso amico" rise Manlio accarezzandosi la pancia.
Chiara Mantegna alla riunione c'era, e, come gli altri, li stava
aspettando in piedi.
"Vi davamo per dispersi! Buongiorno!" disse Molteni in persona causando
un compiaciuto sogghigno di Chiara che colse la palla al balzo.
"Avrete forato una gomma immagino!" disse senza perdere il
sogghigno.
"No, questa notte un fulmine è entrato in camera mia dalla finestra, mi
ha scaraventato in giardino e poi ha fuso tutto" rispose Saverio quasi
tra se
lasciandosi crollare su una delle poltrone di pelle che erano disposte
intorno al grande tavolo ovale.
Dopo qualche secondo di silenzio totale in cui tutti tranne Manlio
guardarono Saverio come se fosse E.T. in persona, lentamente, tutti
presero posto.
"Questa riunione è dedicata a chiarire come lei ci potrà essere utile,
io personalmente ho sponsorizzato la sua persona dato che le ho visto
portare
ordine ed efficienza in un centro elaborazione dati tra i più
disastrati della
storia dell'informatica.
Centro che, mio malgrado, ero finito a dirigere.
Questa azienda, fortunatamente, non ha particolari problemi, tranne che
per la sua vulnerabilità agli accessi esterni, tramite internet.
Durante il giorno, infatti, le sedi distaccate devono essere collegate
in tempo reale per acquisire ordini e comandare, così, direttamente la
produzione industriale.
Questo ci consente di produrre col minor scarto di magazzino
possibile.
Caratteristica essenziale per chi produce alimentari".
"Capisco, ma chi o cosa temete esattamente?
Che la concorrenza vi sottragga segreti, che riguardano i prodotti o
che qualcuno possa ficcanasare nella contabilità?" chiese Saverio.
"La nostra contabilità è così immacolata che l'accesso è libero a
tutti, non temiamo controlli.
I nostri prodotti, invece, stanno avendo, negli ultimi mesi un successo
che si sta dimostrando devastante per la concorrenza, la quale, ne
siamo sicuri, non lascerà nulla di intentato per danneggiarci. "
"Avete già avuto degli attacchi, in tal senso?" intervenne Manlio.
Chiara estrasse un foglio dalla cartellina di pelle che aveva davanti e
lo appoggiò sul piano del proiettore.
"Ecco qui, è arrivato l'ordine di tre camion di merce dalla sede di
Newcastle, peccato che il personale della nostra sede non ne sapesse
nulla, l'ordine era falso, questo invece arriva da Parigi e questo da
Palermo. "
Chiara tornò a sedersi a braccia conserte, come se la formalità di
mostrare le slides l'avesse infastidita alquanto.
"Ma, la mia domanda non vi sembri irriguardosa, fare una telefonata per
conferma?" azzardò Saverio evitando di guardare Chiara, che invece lo
fissava come se fossero solo loro due ad occupare la sala.
"Fino a quell'episodio di Newcastle non era mai stato necessario, le
altre due situazioni non siamo, comunque, riuscite a bloccarle, per
evitare danni alla produzione generale abbiamo preferito stoccare in
magazzino le eccedenze" rispose stizzosa Chiara.
"Ma quello degli ordini falsi è un argomento risolto, piuttosto siamo
convinti che l'accaduto non fosse altro che un tentativo di saggiare
quanto fossero penetrabili i nostri sistemi" Molteni tagliò corto,
evidentemente infastidito dall'atteggiamento di Chiara.
"E posso sapere cosa vi aspettate da me esattamente?".
"Che lei cripti tutti i dati presenti sui nostri data base con un
codice creato per l'occasione, lei deve essere l'unico a conoscerlo, è
un lavoro che ha già fatto, e proprio nell'occasione in cui ci
incontrammo anni orsono".
"Potrebbero sottrarre il programma di decodificazione prima o poi".
"Non se lei lo varia spesso, diciamo ogni settimana".
"A vita?" rispose Saverio con un sorriso sardonico.
"Esattamente" rispose serio Molteni.
Saverio tacque assorto per qualche secondo giocherellando con la matita
che aveva davanti.
Era la matita di Chiara, che se la riprese dalle mani di Saverio senza
troppi complimenti.
"Non è per disturbare i tuoi pensieri, ma penso che gli astanti stiano
aspettando una risposta" disse Manlio sottovoce.
"Scusatemi, non ho potuto fare a meno di pensare a quegli architetti
medievali che disegnavano i passaggi segreti per consentire ai sovrani
di poter fuggire in caso di necessità, finivano sempre per morire in
circostanze misteriose portandosi il segreto nella tomba".
"Se vuole garanzie sulla sua incolumità le garantisco che cercheremo di
proteggerla dalla dottoressa Mantegna".
La frase di Molteni provocò l'ilarità generale, o quasi.
Chiara si alzò di scatto.
Se la mia presenza non è di vitale importanza avrei diverse attività in
sospeso" sibilò Chiara alzandosi in piedi di scatto.
Molteni si fece serio.
"Vada pure, grazie, voglia scusarmi per la frase, non volevo
minimamente prenderla in giro".
Saverio la seguì con gli occhi mentre usciva a testa alta nel suo
tailleur nero.
La sua espressione corrucciata non sfuggì a Manlio.
"Non ti preoccupare, sai come dicono i samurai, tanti nemici, tanto
onore".
"Non sono preoccupato, sono dispiaciuto, è una donna tanto bella quanto
intelligente, e non mi fa affatto piacere essere odiato da lei".
Si alzò in piedi e guardò Molteni all'altro capo del lungo tavolo.
"Io vi ringrazio per la fiducia che riponete nelle mie capacità e..."
"Non intende accettare?" lo interruppe impaziente Molteni.
"Al contrario, stavo appunto dicendo che cercherò di non deludervi, ero
solo dispiaciuto dall'atteggiamento della dottoressa, ma, ci tenevo a
precisarlo, in parte ho causato io stesso la sua sfiducia nei miei
confronti con il mio comportamento".
"Guardi, se la dottoressa invitasse ad un ricevimento tutte le persone
che le vanno a genio... potrebbe tenerlo in una cabina telefonica".
Un impiegata lo accompagnò in quello che sarebbe stato il suo
ufficio.
Molteni aveva mantenuto le promesse, era il più lontano possibile da
quello di Chiara, ma era identico al suo:
stessa scrivania di cristallo, niente cassetti, un armadio in un
angolo, quadri alle pareti con i prodotti dell'azienda o grafici
sull'andamento della stessa.
Manlio entrò e rimase ad osservarlo mentre smontava tutte le cornici
dei quadri per sostituirli con primi piani di attrici bellissime.
"Adoro le donne, il loro modo di guardarti, di sorridere, di muoversi,
il loro odore di rossetto o fard o chissà cosa, il fruscio dei tessuti
dei loro abiti,
le adoro anche quando rovistano nelle borse alla ricerca delle chiavi
che non trovano mai ed alzano una gamba di un centimetro come se ci
appoggiassero la borsa che invece reggono con l'altra mano".
Un quadro lo lasciò vuoto ed appese ugualmente la cornice al muro.
"E cosa sarebbe?" chiese Manlio puntandogli il sigaro.
"Non cosa, chi".
"Ok, non indago oltre, andiamo a far onore alla tavola di
Mantova?".
"Volentieri, oggi ho una fame tremenda".
Per quanto avesse appetito, rimase presto ad assistere Manlio che
continuava a divorare di tutto.
"Ma non ti riempi mai? Ma lo sai quante calorie ci sono in questa
noce?"
"E tu mangiane un'altra" rispose Manlio armeggiando con lo
schiaccianoci.
"Non scherzare, la frutta secca ingrassa tantissimo".
"E tu bagnala" Manlio spinse verso Saverio un bicchiere pieno di
vino.
"Prima o poi esplodi, lo sai questo?".
"Vorrà dire che prima cercherò di fare un sibilo, in modo che tu faccia
in tempo a metterti in salvo, contento?".
"Contento tu, salute".
Bevvero l'ultimo bicchiere di vino e decisero di fare due passi fino ad
un bar per prendere il digestivo.
"Allora buona notte, ti accompagno al tuo albergo?" disse Saverio
stringendosi nel cappotto.
"No, devo tornare a casa mia a Varese, oggi pomeriggio mi hanno
lasciato un messaggio in segreteria che c'è una perdita d'acqua e devo
andare a portare le chiavi della mia cantina".
"E parti adesso? Chissà quanta acqua sarà uscita a quest'ora!".
"A parte il fatto che è solo acqua e non vino, hanno chiuso il
rubinetto generale isolando la mia cantina, solo che devo portare le
chiavi lo stesso".
"Te lo hanno detto nel messaggio?".
"Si, una bella seccatura, a quest'ora, avverti tu che domani arrivo
tardi in ufficio?".
"Certo, non ti preoccupare, ma se vuoi vengo con te".
"Direi che ne hai passate abbastanza nelle ultime ventiquattro ore, ci
vediamo domani".
Saverio arrivò all'albergo in pochissimi minuti, il freddo invitava a
camminare svelti.
La stanza era confortevole e questo lo mise di buon umore.
Si svegliò che era appena sorto il sole, per abitudine accese il
televisore.
Ancora prima di leggere i giornali era uso scorrere le principali
notizie dai teletext sul televisore
Nella cronaca lesse una notizia che lo fece crollare di nuovo seduto
sul letto
Un'auto era caduta da un viadotto nella notte poco lontano da Mantova,
e, purtroppo, il nome della vittima era proprio quello che non avrebbe
voluto sentire
Non sapendo cosa fare telefonò alla polizia che gli diede le
indicazioni per raggiungere l'ospedale di Mantova in cui era stato
portato Manlio.
Dal pronto soccorso lo indirizzarono direttamente verso l'obitorio
Un lenzuolo bianco non riusciva a nascondere la mole del corpo di
Manlio, steso su una barella, in un angolo di una grande stanza
grigia
"E' un parente? Mi dovrebbe firmare dei documenti e parlare con il
poliziotto di guardia nell'ufficio in fondo al corridoio a sinistra"
disse un infermiere frettolosamente.
Saverio bussò ai vetri della guardiola, l'agente alzò lentamente gli occhi dalla rivista che stava leggendo.
Dopo un quarto d'ora Saverio, oltre essere affranto per la morte dell'amico, era anche angosciato da dubbi sulla sua morte.
Dal verbale della polizia risultava che l'auto era andata dritta giù da un viadotto senza neanche frenare.
Dagli esami del sangue risultava un tasso alcolico del sangue almeno doppio del consentito per mettersi alla guida, ma Saverio aveva visto quanto avesse bevuto Manlio la sera dell'incidente e non era neanche un decimo di quello che aveva ingurgitato la sera del fulmine, quando fece addirittura un balletto.
Decise di andare alla Polizia per cercare qualche risposta.
"L'abbiamo chiamata noi?" gli chiesero appena entrato alla centrale.
"No, volevo parlare con qualcuno che sia a conoscenza dei particolari dell'incidente del viadotto di ieri sera".
"Il collega che ieri sera era di servizio al pronto soccorso deve avere una copia del verbale" rispose un agente in borghese.
"Quello l'ho visto, è che si sono delle cose che non mi convincono e...".
"Aspetti qui, la chiamo appena si libera il commissario".
Fu un'attesa lunga, dopo mezzora passarono quattro uomini in giacca e cravatta , superarono Saverio che era seduto su una sedia di quelle allineate ai lati del corridoio ed uscirono dal commissariato.
"Quello è il commissario?" chiese Saverio all'agente di servizio alla porta.
"Si quello in mezzo".
"Ma, sta andandosene?".
"No è solo ora di colazione, torna subito" rispose l'agente.
Quando tornò era passato mezzogiorno.
"Scusi..." provò a bloccarlo nel corridoio.
"E lei chi è? Questo chi è?" chiese con arroganza il commissario rivolto all'agente di servizio.
Poi il commissario si rivolse a Saverio.
"Lei deve fare una denuncia? Si faccia dare un modulo dall'agente".
"Una denuncia mi sembra troppo, mi bastava parlare con qualcuno...".
"Le pare che abbiamo tempo per chiacchierare qui? Parli con l'agente e si faccia chiamare appena possibile".
"Guardi che io ho il sospetto che un uomo sia stato ucciso, le sembra abbastanza forte come chiacchiera?".
"E per un sospetto omicidio una denuncia le sembra troppo? E chi avrebbero ucciso sentiamo!"
"Un mio amico è morto questa notte in quello che sembra un incidente d'auto, ma secondo me non lo è".
Il commissario sbuffò e si spostò per far si che Saverio potesse entrare nell'ufficio.
"Ci vediamo più tardi" disse alla giovane agente che era rimasta sulla porta.
Per due ore Saverio fu costretto a raccontare tutto su di se, partendo dalle proprie generalità fino ad arrivare ad una minuziosa descrizione del suo lavoro e di quello che era venuto a fare a Mantova.
"Le dispiace se arriviamo al punto? Il mio amico Manlio è finito giù da un viadotto e sulla strada non c'è nessuna traccia di frenata, dicono che era ubriaco, ma io ho cenato con lui e con lui sono rimasto fino a quando non è salito in macchina, non aveva affatto bevuto più del solito".
"Cosa vuol dire più del solito, il suo amico è, anzi era, un accanito bevitore?".
"Beveva qualche bicchiere di vino a tavola, come tanta gente, ma il fatto è proprio questo, due giorni prima, dopo aver bevuto molto di più, era rimasto talmente lucido da aiutarmi dopo che avevo avuto un incidente".
"Anche lei? E di che incidente si trattava? E' caduto in un fiume con la macchina dopo una "normale" bevuta?".
Il tono del commissario era smaccatamente provocatorio e fu proprio questo che fece nascere dei sospetti in Saverio.
Si impose di mantenere la calma.
"Sono caduto dalla finestra".
"Capisco, quindi, secondo lei, qualcuno ha mandato giù deliberatamente l'auto del suo amico, con il suo amico dentro".
"Esatto".
"Mi saprebbe dire perché un uomo alto più di un metro e ottanta, che stazza più di un quintale, si lascerebbe gettare giù da un dirupo senza obiettare?".
"Semplice, qualcuno lo ha drogato".
"Gli esami fatti sul corpo parlano soltanto di sostanze alcoliche, in quantità tali da dare ebbrezza, non coma".
"Facciamo altri esami, non vorrà rischiare di lasciare un assassino in libertà".
"Ammesso che io prenda in considerazione la sua ipotesi, potrebbe dirmi, di grazia, chi e, soprattutto, perché lo avrebbe ucciso, secondo lei?".
"Non so ne chi ne perché, ma sento che dobbiamo vederci chiaro".
"Io non posso iniziare un'indagine di omicidio, peraltro contro ignoti, solo perché lei sostiene che il suo amico reggeva bene l'alcol, per il momento il verbale è chiuso e parla di un incidente, se lei ha qualcosa di più concreto da dirmi, venga e ne riparliamo, per il momento...".
Il commissario mostrò la porta a Saverio che vide dietro i vetri la giovane agente che li stava osservando.
"Capisco, la lascio ai suoi impegni impellenti".
"Col suo permesso s'intende!" rispose livido il commissario.
La rabbia gli torceva le budella, aveva voglia di prendere a calci le auto che passavano.
Non si era mai sentito tanto impotente ed inutile in vita sua.
Camminava a testa bassa, le mani in fondo alle tasche del cappotto, attraversò di corsa la strada e s'infilò tra due auto parcheggiate, per andare sotto i portici.
Vide lo sportello aprirsi troppo tardi così urtò violentemente lo spigolo della portiera con il labbro inferiore.
Saverio si portò la mano alla bocca per cercare di lenire il dolore.
"Ah sei tu! Capisco che sei la star del momento, ma dovevi trovarti con me questa mattina, potevi almeno telefonarmi per dirmi che non saresti venuto in ufficio!" disse Chiara uscendo dalla macchina e chiudendo la portiera con forza.
"Senti, io non ho mai picchiato una donna, ma tu mi ispiri in un modo quasi irresistibile, sappi che Manlio è morto questa notte ed in più sono pure convinto che l'abbiano ucciso, capirai, a questo punto, quanto mi possa fregare della riunione con te!".
Saverio aveva preso Chiara per la sciarpa di seta bianca e l'aveva tirata a se quasi sollevandola di peso, tanto da farla toccare terra solo con la punta dei piedi.
"Scusa, non lo sapevo, ma tu stai sanguinando..." bisbigliò Chiara.
La ferita al labbro era piuttosto profonda e Saverio la tamponò con la sciarpa di Chiara.
"Te la ricompro, non preoccuparti...".
"Vieni che ti porto all'ospedale" disse Chiara risalendo in macchina.
"All'ospedale? No, grazie, per oggi basta!".
"Non fare il bambino, potresti avere bisogno di punti ed io non so nemmeno attaccare i bottoni".
Saverio salì in macchina e si rese conto in quel momento di essere quasi privo di forze.
Entrando nel pronto soccorso avvertì prima un ondata di caldo che lo costrinse ad aprirsi cappotto e camicia, poi un gelo intenso.
Una sensazione di angoscia lo costrinse a voltarsi indietro:
nel mezzo della porta da cui era appena passato, il sacerdote che aveva visto in sogno la sera dell'incendio lo stava fissando.
Era a braccia conserte, il cappuccio copriva il capo e parte del volto, che era di un pallore inumano.
Strinse il braccio di Chiara a cui era appoggiato, ma non la trovò, al suo posto un essere mostruoso gli era accanto.
Era molto alto, con il volto scavato e gli occhi quasi fuori dalle orbite.
L'iride era giallo e la cornea nera.
L'essere indossava una tunica rossa e nella mano destra teneva la testa di Manlio per i capelli.
Poi tutto iniziò a girare vorticosamente e divenne buio.
Un tocco lieve su una mano, Saverio si voltò terrorizzato, ma subito si rasserenò, conosceva bene quel viso.
Il fanciullo lo portò fuori dal pronto soccorso e lo trascinò di corsa per i vicoli vicini, finchè non scomparve improvvisamente, lasciando Saverio ansante appoggiato ad un muro.
Il sangue, diluito dalla pioggia che aveva cominciato a cadere, colava sul petto.
La camicia era completamente arrossata.
Chiara apparve in fondo al vicolo.
I capelli era zuppi di pioggia, così come i vestiti, ed aveva più o meno l'espressione di quel mattino in cui l'aveva piantata in asso in ufficio per raggiungere Manlio: furiosa.
"Tu pensi di essere normale? Eh? Mi hai fatta volare per terra come un sacco di patate, hai dato un cazzotto al medico, hai rotto una vetrata e sei scappato come un cane idrofobo, non pensi che sia il caso di fare una bella visitina da uno o più psichiatri?".
"Si" rispose Saverio cercando di rialzarsi.
"Si cosa?".
"Si, vado a farmi vedere da qualcuno, ma lontano da qui, aiutami a raggiungere la mia macchina per favore, me ne torno a casa e chiamo il mio medico".
Saverio si alzò a fatica, sorretto da Chiara che dimostrò un'insospettabile forza fisica.
"A questo punto hai fatto anche troppo, grazie, sei stata un angelo" disse Saverio stringendo la mano di Chiara.
"Di niente, se non ti avessi aiutato sarebbe stata omissione di soccorso, dopotutto sei andato a sbattere contro la mia auto, sei sicuro di farcela?".
"Certo, tutto a posto, è solo un graffio".
"Al labbro si, è il tuo comportamento a preoccuparmi, hai così tanta paura dei medici?".
Saverio non riuscì a trattenere un sorriso, che provocò subito la fuoriuscita di un fiotto di sangue dal labbro.
"No, è che ho avuto una specie di visione, di incubo ad occhi aperti...che sembrava il proseguimento di un altro incubo che ho avuto pochi giorni fa, ma non ti voglio far perdere altro tempo, vai, e grazie ancora".
Prima di entrare in auto Saverio rimase qualche istante ad osservare Chiara che si allontanava di corsa saltellando per evitare le pozzanghere.
Non avrebbe mai creduto di poter ricevere aiuto proprio da Chiara, forse non era poi così inumana, in fondo.
L'abitacolo della sua auto gli diede un senso di conforto, mise in moto e partì lentamente.
Si strinse nel cappotto, il riscaldamento tardava a far sentire i suoi effetti.
Mancavano poche centinaia di metri al viadotto in cui Manlio aveva avuto l'incidente, se di quello si era trattato.
Il fondo era in buono stato e le curve dolci, non c'era niente che potesse far perdere il controllo dell'auto.
Abbassò lo sguardo un attimo verso il contachilometri, per verificare la propria velocità.
Era anche sostenuta, Saverio era sempre più convinto che sotto ci fosse qualcosa di losco.
Quando alzò lo sguardo un brivido gelido gli corse per la schiena.
Sua madre, che era morta dieci anni addietro, era in piedi in mezzo alla strada, era in vestaglia ed a piedi nudi e gli tendeva le braccia con una espressione disperata, come ad implorare aiuto.
Non era a più di dieci metri, Saverio inchiodò disperatamente.
L'auto sbandò e, dopo due testacoda, cappottò più volte terminando la propria corsa contro uno sbalzo di roccia che si trovava proprio all'imbocco del viadotto.
Saverio riaprì gli occhi, chissà quanto tempo era rimasto svenuto.
Era ancora legato al proprio posto dalla cintura di sicurezza.
L'airbag era afflosciato tra lui ed il volante, che era spezzato in due.
Si toccò febbrilmente braccia e gambe, c'era tutto, aveva sempre avuto terrore delle amputazioni più che della morte.
Provò ad uscire dall'auto, ma l'attacco della cintura era irraggiungibile, inghiottito dalla lamiera contorta del fondo.
Era impossibile sfilarsi la cintura, era rimasta in tensione al momento dell'urto.
Provò a rilassarsi un attimo per riordinare le idee, ma un odore intenso di benzina lo ricacciò nel panico, cominciò a tirare inutilmente la cintura con disperazione, l'odore era sempre più forte.
Non erano solo le amputazioni a terrorizzarlo, anche quella di morire bruciato vivo era una sua paura atavica.
Cominciò a pensare a qualsiasi oggetto potesse aiutarlo a tagliare quella maledetta cintura che, dopo avergli probabilmente salvato la vita, lo stava condannando ad una morte atroce.
Accanto alla mano trovò gli occhiali da sole, ruppe uno dei vetri e provò con quello, ma non riusciva nemmeno ad intaccare la cintura.
Finalmente vide il tagliaunghie che penzolava dal mazzo di chiavi ancora al loro posto nel blocchetto di accensione.
Il tagliaunghie funzionava, lento, ma inesorabile.
Era a metà percorso quando una fiammella comparve dal cofano motore o da quello che ne rimaneva.
Quando stava tagliando gli ultimi tre millimetri di cintura le fiamme avevano avvolto l'auto quasi completamente.
Finalmente saltò fuori, ma le gambe cedettero, dovette trascinarsi con i gomiti e le unghie fino a lasciarsi cadere giù per la scarpata del viadotto.
La fiammata provocata dall'esplosione dell'auto gli passò sopra la testa, talmente vicina che Saverio ne sentì il calore.
Rinvenne tra bagliori azzurri e voci concitate.
"E' dentro? E' ancora dentro? Fate qualcosa!".
Ormai conosceva bene quella voce, quel modo di pizzicare la esse, di aggrottare la fronte, di incrociare le braccia... lui, Chiara, la conosceva da sempre, senza averla mai incontrata prima, se ne rese conto in quell'istante.
Non potevano vederlo, giù nella scarpata, e neanche sentirlo, tra le urla ed il rumore dei motori, anche Pavarotti avrebbe avuto dei problemi a farsi notare.
Provò ad arrampicarsi, lentamente, metro dopo metro.
Doveva riuscire a rassicurare Chiara, non sopportava che si angosciasse per lui.
Arrivò al ciglio della strada proprio alle spalle di chiara, che era seduta su un paracarro con il viso tra le mani e gli occhi sbarrati, fissi sul rogo dell'auto.
"Non c'è nessuno dentro!" urlò un pompiere riuscendo finalmente a guardare tra le fiamme.
"Ma allora è stato scaraventato fuori, guardate indietro! Da dove iniziano le strisciate sull'asfalto" gli rispose un collega.
"Chiara, sono qui" disse Saverio poggiandole una mano sulla spalla.
"Oddio! E' qui! Come stai? Come hai fatto ad uscire?" Chiara non credeva ai propri occhi e continuava a guardarlo dalla testa ai piedi per verificare il suo stato.
Sdraiato sulla barella, dentro l'ambulanza, Saverio si sentiva, nonostante tutto, felice.
Chiara era accanto a lui, guardava fuori dal finestrino.
Il trucco disfatto, colato sulle guance parlava chiaro: aveva pianto, ed aveva pianto per lui!
Chiara si voltò.
"Che fai, ridi? Tu o sei pazzo o sei scemo, ma lo sai che per raccogliere i resti della tua macchina basterebbe un portacenere?".
"Chi l'ha detto che uno pazzo non può essere anche scemo?"
Risero, tanto che il medico e l'infermiere a bordo si guardarono costernati.
Questa volta la permanenza al pronto soccorso fu meno movimentata e Saverio fu dimesso il giorno dopo.
"La ferita più profonda è quella al labbro, pensa un po'".
"Quella che ti sei fatto contro lo sportello della mia macchina?"
"Già, avrei potuto disintegrarmi ed, invece, niente, neanche un graffio".
"Dovresti andare ad accendere un cero".
"Andiamo, avevo promesso di farlo il primo giorno che ci siamo incontrati".
Un velo di tristezza calò sullo sguardo di Chiara.
"Devo esserti sembrata una bestia vero?".
"Diciamo che se mi avessero detto di descriverti con una parola sola non avrei usato "affabile", questo si".
La rotonda di San Lorenzo era il luogo ideale per un gesto di devozione.
Era un luogo accogliente ed allo stesso tempo dava soggezione.
"Non pensavo che dicessi sul serio, per il cero intendo" bisbigliò Chiara mentre entravano nella chiesa.
"Invece si, e non solo per quello che è successo, ma per quello che potrà ancora accadere".
"Cosa vuoi dire, hai paura di altri incidenti?".
"Non erano incidenti, c'è qualcuno o qualcosa che mi vuol tenere lontano da questa città, ed è proprio per questo che intendo rimanere".
Mentre Chiara rimase in un angolo accanto alla porta, Saverio andò verso le candele che ardevano sulla sinistra ad una decina di metri.
Chiara capì che stava accadendo di nuovo qualcosa di strano, pensò subito ad uno degli incubi ad occhi aperti di Saverio.
Era immobile, con una moneta tra le dita della mano destra ed una candela nella sinistra, e guardava fisso il pavimento davanti ai propri piedi.
Altre persone osservavano Saverio, tra i banchi della chiesa, così Chiara decise di intervenire per toglierlo da quella situazione imbarazzante.
Saverio cadde in ginocchio, vedeva il pavimento di roccia ribollire come se fosse liquido, affioravano da tutti i lati i volti di persone a lui care, per poi essere risommersi, urlavano aiuto e gli tentevano le mani piangendo.
Anche Saverio iniziò a piangere disperatamente quando la mano di Manlio gli sfuggì e lo vide scomparire urlando, e poi sua madre, suo padre, anche a loro non riuscì a dare alcun aiuto.
Chiara ed altre tre persone cercarono di sollevarlo, ma inutilmente, Saverio continuava ad urlare ed a graffiare la roccia con le unghie fino a quando non ebbe le mani coperte di sangue.
Una delle tre persone era un medico, frugò in una borsa di pelle e ne estrasse una siringa, la riempì con un liquido trasparente e lo iniettò nel collo di Saverio, che crollò senza conoscenza, dopo pochi secondi.
"Cosa gli ha dato?" chiese Chiara allarmata.
"E' un farmaco per le crisi epilettiche, come mai questo signore non ha il braccialetto?".
"Questo signore non ha il braccialetto perchè non è affatto epilettico!".
"Diciamo che non sapeva ancora di esserlo, chiamo un'ambulanza".
"No, ho la mia auto, grazie, mi aiuti solo a portarcelo, per favore" disse Chiara con fermezza.
Saverio era riverso sul sedile reclinato, accanto a Chiara, che , di tanto in tanto gli gettava un'occhiata carica di apprensione.
Aveva visto sui documenti dove abitava e voleva portarlo a casa, sperando che l'ambiente familiare riuscisse a calmarlo.
Non fu facile trovare la villetta, ma alla fine imboccò il vialetto mentre Saverio cominciava a muoversi debolmente.