Tre mesi da cane
Dall'ingresso le voci giungevano sommesse ma concitate
"Ma non si può fare nulla? Che so una operazione, iniezioni, visite specialitiche, portarlo all'estero...".
"Niente, mi devo solo rassegnare e cercare di fargli passare questi tre mesi serenamente".
Le due donne erano a capo chino, una delle due stringeva ed agitava una busta bianca che sembrava l'origine del loro discorso".
L'ingresso aveva quadri ordinari su una carta da parati che, in origine, doveva essere dorata ma adesso era solo giallastra.
Un lungo tappeto rosso scuro percorreva tutto il corridoio dalla porta di ingresso fino alla porta socchiusa del bagno piccolo da cui, non visto stava osservando Oreste.
"Tuo marito lo sa?"
"No, non ha visto neanche la busta, non so se dirglielo subito o... aspettare, tanto se ne accorgerà da solo vedendo il deperimento progressivo...".
Valeria ricaccio' a fatica una lacrima. "Senti dalla a me la busta, la getto nei bidoni passando... lo dirai quando crederai meglio".
"Hai ragione, perchè portare in due la croce... scusa la reazione ma sai... l'affetto, gli anni passati insieme...".
"Non aggiungere altro, vado... e salutami Oreste, ciao".
Oreste chiuse la porta delicatamente, e continuò a farsi la barba o almeno ci provò.
"Sto' morendo... tre mesi mi hanno dato... e quando li ho fatti quegli esami? L'AVIS! Se ne sono accorti all'AVIS che sono malato! E pensare che mi sento bene... insomma, proprio bene no, mi sento stanco e poi c'è il mal di testa... Non digerisco bene... l'insonnia... così imparo a trascurarmi... spero solo di non soffrire troppo... e dove ce l'avro' il... non riesco neanche pensarlo... Ma che importanza ha, io penso a me stesso, ma il dolore della mia famiglia? Si riprenderanno? Forse potrei cercare di rendermi odioso cosi' il distacco sarebbe meno traumatico... ecco faro' proprio cosi' mi faro' odiare...".
Usci' dal bagno con decisione ed incontro' Valeria.
"Bhe? Dove vai ad un convegno di irochesi? E l'altra mezza faccia te la radi domani o hai intenzione di passare il resto della tua vita di profilo?".
"Abile attrice!" pensò Oreste "bella manovra dissuasiva quella della barba!"
Ma passò davanti allo specchio dell'ingresso e vide tutta la parte sinistra Del volto ancora coperta di schiuma.
"Porcaccia la miseria, devo controllarmi se no capisce che ho capito" pensò Oreste tornando in bagno.
"Senti Valeria, questa sera esco e non so a che ora torno!" disse con un tono volutamente troppo alto di voce.
Voleva dare l'impressione di nascondere qualcosa e quindi cercò di inscenare una Finta indifferenza nel tono che potesse far sembrare che per quella sera si accingeva a fare qualcosa di illecito.
Attese quindi la raffica di domande inquisitorie di Valeria.
"Portati le chiavi che se no mi svegli!".
"Portati le chiavi!" pensò Oreste "Come ti dico che esco, non ti dico dove vado, ma so' che tarderò e tutto quello che mi dici...portati le chiavi?".
La porta si chiuse con un tonfo, Valeria era uscita. Si vestì con lentezza ed un senso di impotente rassegnazione. "La figlia della portinaia! Già Valeria ne aveva criticato l'aspetto e l'abbigliamento, cosa l'avrebbe fatto odiare di più se non una tresca con l'Yvonne Cascione la wamp dell'isolato?".
Avrebbe pregato la ragazza di prestarsi al gioco, tanto era solo per tre mesi... Casomai l'avrebbe pagata per il disturbo.
Ma non bastava...che cosa fa il tipico marito odioso?
Gioca d'azzardo! Avrebbe giocato ai cavalli, organizzato pokerini con gli amici e partite a soldi a biliardo ed i videopoker!
Pure i video poker avrebbe usato!
E poi disordine! Tanto disordine!
Mutande sui lampadari, calzini in cucina eccetera... Il piano era fatto, tempo due settimane ed avrebbe fatto schifo anche al cane! Gia' anche al cane... da lui non sarebbe mai riuscito a farsi odiare, neanche picchiandolo tutti i giorni, quell'adorabile vecchia, decrepita trottola di pelo. "Pazienza, si rassegnerà anche lui". "Chi si rassegnera?" era suo figlio Alberto, aveva pensato ad alta voce. "No niente, parlavo di un mio collega a cui ho soffiato un'incarico..." "Capisco, io allora parto con Beatrice eh? Ci vediamo Mercoledì". "Oddio Alberto devo combinare qualcosa anche ad Alberto, mi adora... ma dove sono i figli di una volta che odiavano i genitori "per contratto?"... Ho trovato: importunerò Beatrice, la molesterò... al mio funerale non ci sarà neanche l'autista del furgone... a piedi me ne devo andare!"
Per portare avanti il suo progetto di rendersi odioso cominciò dal vizio del gioco.
La sala corse era ad un isolato di distanza.
Si fermo ad un bancomat e prelevò la cifra massima giornaliera, per iniziare poteva bastare.
I monitor sembravano quelli dell'aeroporto solo che le righe sui video erano riferite alle varie corse.
Si avvicinò ad una cassa.
"Buon giorno volevo puntare questi su... pacioso" Disse il nome che aveva appena sentito fare alla cassa accanto.
L'aveva pronunciato una signora anziana talmente male in arnese da costituire una certezza:
giocava sicuramente su cavalli perdenti.
"Ma tu vatti a fidare delle vecchie... due anni che non vinceva una corsa sto pezzo d'un... cavallo e adesso?".
Il portafogli gonfio gli dava fastidio nella tasca posteriore dei pantaloni.
"Senta..." bisbigliò al cassiere "vede tra i signori qui intorno qualcuno che perde sempre?"
Il cassiere si chinò con fare cospiratorio
"Io vedo praticamente solo signori che perdono sempre, ogni tanto arriva qualcuno con un culo spropositato se vuole glie ne indico due".
"Dica..."
"Lei e quella vecchietta diroccata all'angolo!"
"Non e' mica il caso di scaldarsi... chiedevo così per curiosità, lei su che cavallo non giocherebbe neanche dieci lire?".
"Dica la verità le è successo qualcosa di brutto ed ha deciso di farla pagare al primo che incontrava, io sarei il fortunato, se adesso potesse lasciarmi lavorare gliene sarei infinitamente grato...".
"Capisco..."
"Ecco bravo veda di capire... che cavallo le posso servire?"
"Venticello, va'... tanto per me l'uno vale l'altro...".
Dopo l'esploit di "venticello" Oreste pensò che fosse meglio prendersi una pausa dal gioco, anche perchè lo guardavano tutti come dei pit bull, vecchietta compresa.
"Proviamo col poker, questa sera organizzo".
Il primo invitato fu' l'amministratore dello stabile, che aveva fama di ladro inveterato, faccendiere losco e truffatore da festival del broglio, con lui nessuno poteva vincere.
Il secondo fu l'inquilino del piano di sotto.
Avevano avuto delle liti a proposito di una perdita d'acqua.
Questo aveva causato il lui un odio incontenibile verso Oreste.
Se avesse potuto avere la possibilità di rovinarlo non si sarebbe certo tirato indietro!
Il quarto fu... l'Yvonne! Cosi poteva iniziare a lavorare anche sul fronte "Satiro" e, contemporaneamente, darne notizia a Valeria tramite la pettegolissima moglie del suo vicino.
Ma prima aveva un problema: se fosse riuscito a seminare odio e disprezzo in chiunque fino a quel momento lo aveva amato, chi si sarebbe preso la briga di dargli una degna sepoltura, chi avrebbe messo mano al portafogli, doveva persarci lui stesso, ed al piu' presto possibile.
La porta del "Cero" era nera bordata di viola ed oro, peccato per lo scalino su cui era impossibile non inciampare, roba da ammazzarsi...
Oreste atterro' sulla moquette grigio scuro ai piedi della scrivania di quello che doveva essere il titolare.
Anziano, vestito di nero, pallido, magrissimo e con un leggero tic ad un angolo della bocca che gli causava degli improvvisi quanto inopportuni sorrisetti.
"Stavo per ammazzarmi... faccia mettere uno spessore a quello scalino..."
"Aspetti, ci penso io..." disse il necroforo tendendo le mani contemporaneamente al tic.
"Non ancora! Ho detto "STAVO" per ammazzarmi...".
"Si accomodi e mi dica, gradisce una bibita? Fa cosi' caldo..."
"Magari una birra... ce l'ha?".
"No, niente alcolici, portano alla tomba, sa, il fegato...".
"Allora la dovresti distribuire ai passanti, imbecille..." pensò Oreste con livore.
"Del chinotto?".
"Ce l'ho!".
"Si tratta di un mio amico, è molto malato e tra tre mesi avrà bisogno di lei...".
"Capisco, e lei vuole preparare tutto con calma...".
"Esatto, con molta calma... mi dica quanto fa per cortesia".
"Quanto fa! Non è mica così semplice! Il suo amico ha una tomba di famiglia? Preferisce la nuda terra? Un loculo? Perchè la cassa cambia sa?".
"Cambia? E chi lo sapeva? Facciamo il loculo va... quanto fa?".
"Va bene, ma anche lì abbiamo diverse opzioni, dobbiamo scegliere la cassa..."
"Scegliamo la cassa..."
"La sceglie lei?"
"Si! Io pago ed io scelgo!"
"Va bene, non si arrabbi... ecco il catalogo, questa..."
"Questa va bene, mi vuol fare questo conto che qui fa un caldo da mor... insomma ho fretta!".
"Ecco, questo è un preventivo medio se vuole dare un anticipo..."
"Pago tutto adesso, un mio amico verrà quando sarà il momento ad avvisarla...".
"Un altro amico?"
"Siamo tre! Uno muore e gli altri due gli fanno il funerale che c'è di strano?".
"Niente, niente... lei deve essere molto scosso per la malattia del suo amico... ".
"Moltissimo... è come... come se capitasse a me... buon giorno".
Gli venne il magone, la gente che incrociava camminando sembrava guardarlo con commiserazione, ed anche il cielo si era fatto buio, improvvisamente coperto da nubi nere e minacciose.
Vide passare il modello di auto che avrebbe dovuto comprare dopo quella che aveva.
L'avrebbe cambiata di lì a due anni, ma, a quanto pare, era durata più di lui.
Aveva bisogno di Gino, il suo unico amico e confidente sensibile ed intelligente.
Con qualcuno doveva confidarsi, altrimenti sarebbe morto di crepacuore prima del tempo.
Scelse il solito bar e diede appuntamento a Gino per la sera stessa.
"Ma come fai ad essere così rassegnato?!" Gino era paonazzo.
"Ho sentito con le mie orecchie mia moglie dire che non c'è nulla da fare, da tentare... BISOGNA rassegnarsi".
"Ma tu hai parlato con un medico, con il laboratorio analisi... insomma si sente continuamente di gente data per spacciata che va' in america germania o che so' io e poi si salva".
"Pensi che mia moglie non abbia chiesto se c'era qualche speranza all'estero?".
"Fammi almeno vedere le analisi va, che ho un amico medico, cosi' mi metto anche io il cuore in pace...".
"Non le ho, mia moglie le ha gettate via per non farmele vedere, altrimenti mi sarei preoccupato".
Gino lo osservò in silenzio per due minuti abbondanti, il suo viso era totalmente inespressivo.
"Ho capito... mi stai prendendo per il culo... ma queste sono cose su cui non si scherza sai? Poi ti capitano davvero".
Oreste si prese il volto tra le mani tenendo lo sguardo fisso sul portacenere al centro del tavolino del bar.
"Vieni con me!" disse alzandosi di scatto.
"Dove andiamo?".
"Pompe funebri " disse oreste con voce cavernosa.
"E non ti toccare che siamo in pubblico" aggiunse dopo aver visto la reazione di Gino.
"E così voi sareste i due amici dell'amico... sfortunato...".
"Che amico?" chiese Gino.
"Zitto che poi ti spiego... Faccia un po' vedere al mio amico la scelta che abbiamo fatto, le dispiace?".
L'impiegato delle pompe funebri, dopo essersi esibito in un doppio tic con assestamento della spalla sinistra, si voltò con sussiego e si incamminò per un tetro corridoio rivestito in velluto blu, soffitto e pareti comprese.
Gino tirava Oreste per la giacca.
"Se è uno scherzo ti avverto che non mi piace per niente... queste cose portano una sfiga nera...".
"Magari fosse uno scherzo" rispose Oreste sospirando.
Il signor Craspo, il necroforo, si fermò ed indicò una piccola stanza illuminata appena da una lampada azzurra.
Nel centro della stanzetta una bara di legno scuro e con l'interno in raso rosso faceva bella mostra di sè.
"Ti piace?" chiese seriosamente Oreste.
"E' proprio quello che avevo in mente..." rispose Gino artigliando lo stelo metallico della lampada.
Il signor Craspo ebbe una mutazione morfologica del viso che doveva essere un sorriso.
"Quando è così siamo daccordo...penso" disse rivolto ad Oreste.
"Direi di si... vero Gino?".
"Non esulto chiassosamente solo per via dell'ambiente... serioso".
Poco dopo erano al solito bancone del solito bar.
"Non ti farà male a quest'ora?" chiese Oreste indicando il bicchiere di Gino.
"Ma stai zitto dai... e che si muore così? Mi ero anche comprato la canna da pesca nuova che volevo portarti al lago con me in Ottobre..." rispose Gino non riuscendo a trattenere le lacrime.
"Magari anticipiamo un pochino... comunque mi devi aiutare dai, non voglio che i miei cari soffrano così, facciamo tutta la messa in scena e poi ci mettiamo ad un bel tavolo e ci ubriachiamo come scimmie insieme".
Gino si asciugò gli occhi col dorso della mano.
"Vabbè dai, bisogna reagire, da dove si comincia?".
"Dal pokerino, devo perdere una grossa somma in modo che mia moglie si incazzi adeguatamente con me, poi devo prendere l'Yvonne in disparte e proporle, per una certa somma, di far finta di avere una tresca con me davanti a Carrera, il mio vicino...".
"Hai invitato quella seppia umana? Ma non ti faceva senso?".
"Mi FA senso, ma mi serve per far da pubblico alla mia tresca con l'Yvonne, lui lo dirà alla moglie a cui non parrà vero di andarlo a spifferare alla mia... tutto chiaro?".
"Direi che la tua è un chiaro esempio di lucida follia...".
La notte era calata sulla disperazione di Gino e la determinazione di Oreste.
L'atmosfera era perfetta:
Tavolo con tappeto verde in salotto, portacenere grande come una bacinella, fiches regolamentari, chip da 5000 lire, alcoolici a gogo.
L'abbigliamento dell' Yvonne era della moderazione consueta:
Scarpe di vernice rosse con tacco dieci, tubino/prendisole ancor più rosso a lunghezza canotta, smalto rosso a tutte le superfici smaltabili, acconciatura leonina color prugna, trucco pesantissimo.
Al suo ingresso l'amministratore si chinò verso l'orecchio del signor Carrera e bisbigliò:
"Se spera di distrarci con la gnoccona abarth si sbaglia di grosso, questa sera gli portiamo via anche le mutande, ma poi mi spieghi questo qui, che non ci ha mai quasi salutato come mai ci invita di punto in bianco a casa sua?".
Il signor Carrera rispose nello stesso tono cospiratorio.
"Che ti frega? Dai che poi coi soldi che gli spenniamo ci andiamo a fare una scorpacciata in uno di quei ristoranti dove ti chiedono ventimila solo per pane, coperto e "buonasera" ".
Sogghignarono soddisfatti mentre la signora Valeria entrava con un vassoio di salatini fumanti.
Alle due e mezzo di notte Gino ed Oreste si fecero un cenno e si chiusero nella cucina.
"Così non va'! Ti ho chiamato apposta per darmi il cambio nel caso io non riuscissi a perdere, ma continui a vincere anche tu, ma non sei capace ad andare giù con una coppia e giocarti tutto?".
"E tu allora? ".
"Ma se mi venivano sempre carte splendide ed anche a rovinarle col cambio, quelli passavano credendo che fosse un bluff!".
"Insomma quanto stiamo vincendo?"
"Tre milioni... è terribile... adesso metto in atto il "piano Yvonne" speriamo che almeno quello funzioni".
Orazio si avvicinò al tavolo e disse a bassa voce alla ragazza:
"Puoi venire un attimo con me in cucina? Devo farti una proposta..." Appoggiata al frigorifero Yvonne lo guardava incuriosita ed un po' nervosa.
"Quanto hai perso?"
"Un milione e duecentomila... perchè li vuole subito?" "Dammi pure del tu... volevo dirti che... per quella somma potresti farmi un favore..."
"Direi di si!" disse Yvonne e con un gesto fulmineo lasciò cadere il vestito/canottiera.
Orazio seduto su una sedia con l' Yvonne nuda a cavalcioni fu la scena che si presentò al signor Carrera. L'indomani a mezzogiorno la notizia arrivò anche alla casa delle suore orsoline quattro isolati a sud.
Avevano vinto complessivamente sei milioni.
"Bhe ti viene un bel funerale, non tutti i mali... scusa..." Gigio si concentrò imbarazzato sul proprio caffè fumante sul bancone del bar.
"No, no dì pure... hai ragione, tanto almeno la frittata dell'Yvonne è fatta, mia moglie a quest'ora lo sa già... adesso devo fare la cosa più odiosa a mio figlio, devo importunargli la fidanzata..."
"Esagerato! Vuoi che i passanti ti sputino sulla bara al funerale? Dagli uno sganassone, ai figli basta poco per odiare i genitori".
"Le cose o si fan bene o non si fanno... mi accompagni dal notaio? Devo fare il testamento".
"Bravo, se gli lasci tutto son capaci di volerti bene di nuovo..."
"No, lascio tutto a te... poi tu, mosso a compassione doni il tutto a mia moglie e mio figlio dicendo che è giusto così"
"E se mi tenessi tutto?".
"Ti vengo a tirare i piedi nel letto finchè campi".
"Scherzavo, anzi, sappilo, a me i fantasmi fanno una paura boia, se hai qualcosa da dirmi me lo dici adesso, poi ci salutiamo bene ma dopo morto non ti voglio più incontrare...".
"Dal notaio andiamo domani mattina, adesso vado dalla mia futura nuora... che schifo... spero di farcela!"
Il figlio d'Oreste aveva un bar nello stesso quartiere, decise di andarci a piedi.
La futura nuora aiutava il figlio nel bar occupandosi più che altro della cassa e della contabilità in generale.
"Papà" lo salutò appena Oreste spostò le tende all'ingresso.
"Cominciamo bene!" pensò Oreste "così mi rende le cose ancora più difficili".
"Senti Carolina, io... non so come dirtelo... non lo sa ancora nessuno... sono malato, ecco te l'ho detto, sono MOLTO malato...".
Carolina lo guardava a bocca aperta, con un'espressione tristissima, come solo i bimbi, o quelli che ne hanno conservato la spontaneità, sanno esprimere.
Oreste continuò.
"Perché vengo a dirlo a te così? Perché devo chiederti un specie di ultimo desiderio... io... "
Qui era veramente difficile...
"Io ti amo Carolina, e vorrei passare una notte con te...".
La bocca di Carolina non accennava a chiudersi, il dito indice della mano destra era rimasto appoggiato al tasto di totale della cassa e lo scontrino continuava ad uscire... ad uscire...
"Ma pap.. Oreste e... Alberto?"
"Appunto!" pensò Oreste.
"Alberto non saprà nulla, naturalmente... ma io sto farneticando scusami, e che mi han dato tre mesi di vita... è difficile mantenersi lucidi... vado via, scusami... Carolina dimentica quello che ho detto..."
"No! Oreste, aspetta... essere considerata l'ultimo desiderio mi lusinga, io sono scioccata più dal fatto che tu stia morendo... ma ne sei sicuro? Sembri in ottima forma... che malattia hai?"
"Un tumore...credo".
"Credi? Come CREDI!"
"L'unica cosa che c'è di certo è quello che mi resta da vivere, credimi".
"Ma lo devi dire a Valeria, ad Alberto che sei malato non credi?".
"Quando sarà il momento".
"Ma perché non fai un bel viaggio nei Caraibi e ti porti Valeria così passate insieme gli ultimi istanti romanticamente..."
"Guarda, Alberto e Valeria mi tormentano da dieci anni sul fatto di trasferirci a santo domingo per aprire un ristorante, ma a me da qui non mi schioda... vano, a me piace l'Italia e qui voglio morire".
"Senti Oreste... va bene".
"Va bene cosa?"
"Vada per l'ultimo desiderio, ma adesso sta attento che sta tornando Alberto su dal magazzino".
"Alberto sbucò dal dietro il bancone sollevando un fusto di birra".
"Papà! Qual buon vento?".
"Passavo di qua e, siccome ti vanti del nuovo aperitivo che hai inventato...".
"Pronti! L'aperitivo della casa... eccolo qua".
Oreste lo trangugiò d'un fiato per non sentirne il sapore, gli intrugli d'Alberto erano da pelle d'oca.
"Buono... ottimo, adesso vado eh? Ciao ragazzi".
Mentre usciva dal bar Oreste sentì la mano di Carolina che gli faceva scivolare qualcosa in tasca.
Era un numero di cellulare.
Si voltò, Carolina era sulla soglia con un sorriso dolcissimo che lo fece sentire l'ultimo dei vermi.
Il suo sguardo si rifece risoluto.
"Animo! Adesso dal notaio!"
I notai erano una categoria di esseri viventi che Oreste stentava a classificare.
"Questi si alzano la mattina, vanno in un luogo in cui arrivano altri che non conoscono e che non li conoscono;
gli altri vendono, comprano, donano, lasciano le ultime volontà... e loro, senza centrarci nulla, senza avere delle cariche particolari, senza avere nomine, senza essere stati eletti da nessuno... beccano denaro da tutti solo per dire - è vero! Il signor Rossi vende il garage al signor Bianchi! - Assurdo! I notai, per mestiere ANNUISCONO! ".
Per vendicarsi in parte gli aveva coniato un motto ridicolo:
"Rogito Ergo Sum!".
Gino era davanti al portone come d'accordo.
"Bene, andiamo a fare anche questa..."
"Dai Gino, poi non ti chiedo più nulla"
"E con tua nuora?"
"Fatta ed accettata la proposta".
"Ha accettato cosa?"
"Di venire a letto con me, l'ho chiesto come ultimo desiderio di un uomo che sta per morire".
"E tuo figlio?".
"Sarà mia cura farglielo sapere in qualche modo".
"Forse ho capito dove cel' hai il... malanno" disse Gino toccandosi una tempia con l'indice.
"Già... può darsi".
"Buon giorno!" il notaio lo accolse con un sorriso.
"Buon giorno, devo dettarle le mie ultime volontà?".
"Scusi, ma non me le ha fatte avere venerdì? Ha cambiato idea?".
"Venerdì?"
"Sì ecco qui, c'è anche la sua firma...".
Oreste ebbe come un presentimento, quei fogli li riconosceva, ma Valeria gli aveva detto che erano documenti da firmare per un aggiornamento del catasto.
"No, no non ho cambiato idea, vorrei solo rileggere alcune righe posso?"
"Certo! Ci mancherebbe, la lascio solo...".
Aprì la copertina con mani tremanti...
"Io Oreste Manera, in pieno possesso..."
Lasciava tutto a sua moglie e suo figlio a cui dava pieno potere di vendita immediata di tutte le sue proprietà.
"E complimenti per l'acquisto di suo figlio, santo domingo è un luogo meraviglioso!"
"Tombola!" pensò Oreste.
"Mi ricorda le caratteristiche dell'acquisto di mio figlio, ne abbiamo parlato di sfuggita...".
"Hotel ristorante MARISOL, piscina, solarium... è bello che un ragazzo così giovane abbia sogni così grandi, avrà lavorato sodo per racimolare la cifra...".
"Sodissimo..." disse Oreste.
Gino lo aspettava fuori dall'ufficio del notaio.
"Ma quand'è che tocca a me? Dovrò pure firmare qualcosa no?".
"Non c'è niente da firmare Gino, questi vogliono farmi fuori...".
"Questi chi?"
"Lo so io, lo so...".
Quella notte, con lo sguardo al soffitto, Oreste rimuginava in preda ad una afflizione ancora peggiore.
"Questo si che si chiama essere condannati, tre mesi la malattia e, se sopravvivessi, comunque ci pensa la mia famigliuola... che mondo di merda! Io cercavo di farmi odiare ed invece il lavoro era bello che fatto".
Si vestì ed uscì nella notte, aveva bisogno di aria fresca.
Mettendo le mani in tasca trovò il biglietto di Carolina.
Chiamò incurante dell'ora tarda.
"Oreste! Sono le due!"
"Scusa, non sapevo con chi sfogarmi... e tu sei l'unica..." Si bloccò e se fosse stata una associazione a delinquere?
Se anche Carolina fosse stata coinvolta nel piano?
"Senti, vediamoci alla casa di campagna domani mattina".
"Va bene, facciamo sul tardi così dico che accompagno mia madre al paese..."
"Va bene".
Era una giornata sfavillante di sole, il profumo della campagna era una sinfonia di odori che gli richiamavano l'infanzia con dolorosa nostalgia.
La casetta non gli era costata poi tanto, l'aveva ristrutturata con le sue mani, giorno dopo giorno.
Sarebbe stata isolata se non fosse stato per il rustico adiacente, da sempre abbandonato.
Fino a quel giorno, infatti, notò una strana costruzione grigia nell'aia del suo vicino, un prefabbricato con dei finestrini alti ed una sola porta, lungo una decina di metri.
Carolina, seduta in auto accanto a lui, sembrava molto a disagio.
Alta, snella, con un faccino delizioso spruzzato di lentiggini, e con lunghi capelli rossi lisci raccolti in una coda con un nastro di raso blu.
Aveva quattro anni più di Alberto, ma sembrava molto più giovane.
"Che viso d'angelo, e pensare che anche Valeria era così, e poi si è rivelata il mostro che è..."
Oreste era amareggiato, troppo per cogliere quello che aveva chiesto a Carolina, ma doveva comunque sapere se anche lei era coinvolta nel suo omicidio.
"Ne sai niente di quella costruzione?" chiese Oreste.
"No, ma mi pare che Alberto ne sappia qualcosa, sentivo che ne parlava con Valeria... deve essere un allevamento di api".
Ecco svelata anche la tecnica dell'assassinio, ad Oreste era bastata una sola puntura, due anni prima, per rischiare la morte per shock anafilattico, probabilmente le arnie le avevano messe loro, facendo credere che fossero del vicino.
Questo gli svelava anche l'estraneità della ragazza, non avrebbe "cantato" se fosse stata coinvolta.
Prese Carolina dolcemente per la nuca e le diede un fragoroso bacio su una guancia.
"Possiamo anche tornare in città" le disse con dolcezza.
"Ma non...".
"No, non serve più, con una bella ragazza come te è appagante anche soltanto fare qualche chilometro in macchina insieme, grazie, Carolina, e chiudi la bocca che l'hai dimenticata di nuovo aperta, qui in campagna potrebbe entrarci di tutto".
Quando Oreste rientrò in casa Valeria era in cucina intenta a lavare i piatti, accanto a lei la solita amica.
"E' rientrato Oreste, adesso glie lo dico... Oreste devo parlarti di Pippo...".
"Pippo? Ha combinato qualcosa quel sacco di pulci?"
"No, il veterinario gli ha fatto delle analisi e gli ha trovato una malattia del sangue che lo condanna, purtroppo gli rimane poco da vivere".
Una vocina cominciava ad urlare "scemo" nella mente di Oreste. "Esattamente poco quanto?".
"Bhe, quando me l'ha detto erano tre mes...". Lo sbattere della porta dell'ingresso fece trasalire le due donne, Oreste era già per strada.
"Gino! Gino!" arrivò a casa dell'amico urlando.
"Che c'è! Mi fai morire la nonna di paura cosa gridi!"
"Gino il mio cane sta morendo"
"Primo, ti faccio notare che la tua faccia sta ridendo, secondo coi guai che hai non mi sembra sta gran notizia".
"Non hai capito! E' il cane che sta morendo non io!".
"Lo sapevo! Lo sapevo che sei un coglione! Mi hai fatto morire di paura! E le pompe funebri ed il testamento e ti volevi trombare la nuora e l' Yvonne, in galera ti dovrebbero mettere" quando Gino si fu' sfogato abbracciò l'amico con le lacrime agli occhi.
"Non è tutto" disse Oreste rabbuiandosi.
"Oddio e adesso che c'è?".
"Mia moglie e mio figlio vogliono uccidermi".
Gino non disse nulla, fece un passo indietro e chiuse violentemente la porta di casa in faccia ad Oreste.
"Non posso dargli torto, adesso pensiamo a non lasciarci ammazzare" pensò Oreste.
Valeria ed Alberto lo attendevano sull'uscio di casa.
"Oreste, ma non te la devi prendere così, in fondo pippo ha ventuno anni, per un cane sono uno sproposito".
Oreste capì che Valeria aveva equivocato la sua reazione alla notizia della malattia di pippo.
"Scusami, lì per lì m'è venuto di scappar fuori, sono sempre stato troppo emotivo".
"Sai cosa ti ci vuole? Qualche giorno in campagna! Stasera stessa ci trasferiamo lì e fino a lunedì non torniamo più".
"Già, IO in particolare non dovrei tornare, vecchia strega" pensò Oreste.
"Sentite, voi andate avanti, io devo comprare delle cose per il giardino e vi raggiungo".
La caserma dei carabinieri era all'interno di un parco, Oreste ci arrivò con il fiatone.
Chi meglio del suo amico di infanzia, ora maresciallo dei carabinieri, poteva aiutarlo?
"Allora, Basilio tu DEVI credermi... le arnie le hanno messe loro... è il delitto perfetto... mi fanno pungere, io muoio in modo naturale, loro fanno sparire le arnie come le hanno fatte comparire ed il gioco è fatto!"
"Ma le avranno comprate da qualche parte! Rimane traccia dai...".
"Le tracce le devi cercare per trovarle, tu avresti avuto forse motivo per indagare su mia moglie o mio figlio se non fossi venuto qui?".
"Questo è vero... senti cosa facciamo...".
"Quanto manca? Posso muovermi?"
"Fermo! Se ti vedono va tutto a monte, stai giù"
disse Oreste spingendo Basilio tra i sedili posteriori senza troppi complimenti.
"Allora, quando sento il tuo fischio intervengo ok? Ce l' hai il fischietto?"
Oreste mostrò il fischietto senza dire nulla.
La cena trascorse nella totale normalità, tanto che Oreste fu cotretto a portare cibo ed acqua all'amico nascosto in auto.
"Andiamo a fare due passi!" disse Alberto alzandosi.
"Certo così si smaltisce un po' della valanga di roba che ci siamo mangiati!" disse Valeria a seguire.
"Ci siamo" pensò Oreste "adesso finiamo per caso vicino alle arnie e addio Oreste, ma saranno cavoli loro".
Si toccò il fischietto nella tasca dei pantaloni e prese un piccolo zaino.
"Cos'hai lì dentro?" chiese Valeria.
"Un cannocchiale, mi piace guardare le stelle di notte".
"Ma è un po' nuvolo" obiettò Alberto.
"E' un cannocchiale molto potente" tagliò corto Oreste.
Fecero un giro largo ed alla fine s'incamminarono verso il cortile fatidico.
Al varcare del cancello Valeria ed Alberto accelerarono il passo sparendo alla vista di Oreste.
Quando ricomparirono lo fecero coperti da due pesanti tute da apicultore mentre una nube d'api si liberava nel cortile.
"Ma dove è andato?" chiese Alberto guardandosi intorno.
"Tanto non può essere lontano, e poi gli ho messo del miele addosso, le api lo raggiungeranno" disse biecamente Valeria.
Il suono di un fischietto li fece voltare.
In realtà non era molto forte, dato che anche Oreste indossava una tuta nuova di zecca ed il suono del fischietto era soffocato.
"Ci ha scoperti! Dai! Possiamo farcela! Togliamogli la tuta!"
Valeria ed Alberto si avventarono sul povero Oreste che continuava a soffiare forsennatamente nel fischietto.
Un colpo d'arma da fuoco li bloccò.
"Era ora!" disse Oreste sollevato.
"Ma secondo te quel fischietto si sente? Non potevi fischiare prima di metterti la maschera?".
"Scusa, è la prima volta che mia moglie e mio figlio cercano di uccidermi, ero un po' nervoso...".
Carolina guardava senza capire Valeria ed Alberto portati via dall'auto dei carabinieri.
"Ti spiego tutto dopo, è una storia lunga, adesso ti porto a casa Carolina" disse Oreste con dolcezza.
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